ANTICA ROMA - Costumi e Tradizioni

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Ogni popolo, ogni cultura sopravvive alla sua storia nella misura in cui è riuscito a trasmettere ai posteri la propria memoria. Memoria di miti, riti, usanze, consuetudini. Ogni popolo lascia in eredità a chi lo segue, la sua capacità di comunicare attraverso parole, immagini, arte… tracce lasciate per non perdere la propria identità e per confermare la propria esistenza e il proprio passaggio… comunicare idee, emozioni, simboli, fede, pensieri.

Questa è la storia di un popolo. Inizia dal dramma delle sue origini fino ad un’apice inimmaginabile… perché è la storia di un popolo che dominò gli altri, al punto da determinare il computo del tempo che corre: “ab urbe condita” (da quando la città è stata fondata).

Questa città é Roma.

Che cosa è accaduto da quella data? E’ accaduto che i suoi abitanti vi fecero iniziare la storia del mondo… fino a duemila anni fa, quando la nascita del Cristo determinò un nuovo computo  del  tempo.

Iniziò con due fratelli… precisamente con il sopravvissuto dei due fratelli e da un quadrato di terra di pochi ettari, nel centro del Lazio, delimitati dal solco di un aratro. Quel quadrato di terra era destinato a diventare prima il centro d’Italia, poi del mondo conosciuto all’epoca.

Un racconto appassionante come  le scene di un film di avventura… come un romanzo avventuroso di cui si vuole conoscere ogni più piccolo segreto dei protagonisti.

Qual era lo stile di vita del popolo romano?  Cosa mangiavano, dove vivevano? Facciamoci invitare ad una veloce colazione oppure ad un sontuoso banchetto e sediamo a tavola con loro.

Come si divertivano? Divertimenti e passatempi non mancavano, anche perché il cittadino romano aveva tanto tempo a sua disposizione, non lavorando ed avendo chi lavorava per lui. Forse i suoi passatempi non riscuoterebbero la nostra approvazione: combattimenti violenti e spargimenti di sangue… a meno di non assistere ad uno spettacolo di mimi o di satira politica…

E le credenze religiose? Sicuramente complessa, la religiosità dei Romani, ma per alcuni versi non dissimile da certi aspetti delle moderne tendenze: dominavano superstizione ed un proliferare di vari credi e filosofie.  

Tutto da scoprire attraverso la lettura di queste pagine.

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Brano tratto dal libro

 

Tutto cominciò ab Urbe condita, cioè, “da che la Città è stata fondata”. Da quella data, dal 21 aprile del 753 a.C., si contarono gli anni così come noi facciamo oggi con la nascita del Cristo. Lo fecero tutti i popoli dell’allora mondo conosciuto. Prima di Roma, infatti, in Italia vivevano diverse popolazioni di varia origine e provenienza e chissà, forse anche loro contavano il tempo che passava, a cominciare da qualche evento per loro di importanza fondamentale: i termini “Italici” “ o “popoli italici” indicano  proprio questi gruppi  stanziati lungo la penisola. La loro storia non influì sulla Storia Universale, ma la loro storia, di Etruschi e Latini  in   particolare, ebbe una   profonda

influenza sull’origine e la storia di Roma.

Chi erano i Latini?

Facciamo un salto indietro nel tempo, fino al 2000 a.C. e vediamo arrivare dal Nord, cioè dalle Alpi, una moltitudine di gente in marcia da chissà quanto tempo; forse si trattava di popolazioni di origine indoeuropea, guerrieri, pastori ed agricoltori, diretti in Italia.

Proseguendo nell’interminabile migrazione, si insediarono nel Lazio e nel sud della penisola. Arrivarono presumibilmente in diverse ondate migratorie e principalmente per via terra, seguendo la dorsale degli Appennini e fermandosi in zone umide, come i laghi. Un po’ più progrediti delle popolazioni del posto, questi nuovi arrivati introdussero molte novità, come la pastorizia, l’agricoltura, la tessitura,  la costruzione di capanne e villaggi. Continuando ad avanzare, raggiunsero la zona dell’attuale Bologna e vi fondarono una città che chiamarono Villanova, che fu all’origine di quella civiltà conosciuta come “villanoviana” da cui, per l’appunto, si pensa, derivino i Latini. Un migliaio di anni dopo raggiunsero il Lazio e si   stanziarono sui Colli Albani, nei pressi di Grottaferrata  e  poi nel resto del territorio, un territorio, in realtà,  coperto di foreste, ma paludoso, acquitrinoso e quasi deserto.

Intorno al XII secolo a.C, infine, si stabilirono a sud

del Tevere dove, su alture ben difendibili, fondarono

villaggi rurali fortificati,  indipendenti l’uno dall’altro, ma  legati da un  profondo senso di appartenenza.  Costituirono Leghe e strinsero Alleanze, a carattere religioso, prevalentemente.

La più importante di queste alleanze fu certamente la Confederazione Latina, sotto la guida e il dominio della potente città di Albalonga,  ai piedi del Monte Albano, che tanta parte avrà nella fondazione di una nuova città a cui sarà imposto il nome  di Roma.

Proprio da Albalonga,    infatti, diretto   un po’ più a

nord,  si pensa sia partito il gruppo di emigranti in cerca di fortuna, che poi fonderà Roma.

Testo

Brano tratto dal libro

L’Acconciatura

Si concedeva molta cura alle acconciature

Fino  al  II  secolo d.C.,  quando, cioè, fu di moda la barba, anche gli uomini usavano rasarsi

completamente.

Particolari cure la donna romana dedicava al fascino ed alla bellezza. L’acconciatura della domina  era elaboratissima. Qualcosa di estremamente strepitoso. L’uso del ferro per arricciare, il “calmister” permetteva di creare pettinature vaporose e  fittamente arricciate, raccolte sulla nuca e con boccoli sulla fronte. Le donne romane, si sa, erano brune, ma  le loro acconciature erano assai spesso bionde o cosparse di polvere dorata. Tingere di biondo i capelli costava qualche fatica, esibire, invece, una parrucca  garantiva un risultato più sicuro e di maggior effetto, dopotutto, c’erano le schiave  provenienti dal nord, con le loro belle e setose capigliature… bastava tagliarle e trasformarle in splendide parrucche da esibire su impalcature sorrette da ferretti con l’aiuto delle ornatrix, la schiava addetta alla toeletta. La consuetudine, però, imponeva di portare in pubblico il capo velato, ma la domina aveva voglia di apparire seducente e raffinata e non intendeva nascondere l’elaborata e scintillante chioma ornata di preziosi pettinini, spilloni, nastri color porpora e così, vi appoggiava appena un velo o una reticella, chiamata reticulum, che lungi dal mortificare, esaltava  la bellezza del volto, accentuata dal trucco: fucus  o purpurissum  per brillare  labbra e  gote,  fuligo per far risaltare gli occhi e cerussa per  imbiancare la pelle di braccia e spalle: la donna romana prediligeva la pelle chiarissia. La donna elegante, inoltre, per apparire sempre in ordine con il trucco, portava al braccio un fazzoletto, la mappa, da utilizzare al bisogno

I  Romani  presero l’abitudine di radersi non prima del secondo secolo a.C. e la prima rasatura era accompagnata da una cerimonia che celebrava l’ingresso del giovane in società.

La depositio barbae , questo il nome della cerimonia, ossia “deposizione della barba”, la barba appena tagliata veniva offerta agli dei; il rasoio detto novacula, altro non era che un coltello o una lama affilata.   Esibire una barba corta e ben curata era segno di ordine e pulizia, però non mancava di vedere in giro barbe incolte e lunghe. Non sempre, però, ciò era segno di sciattezza, spesso era il segno di distinzione dei filosofi e dei saggi e questo lo comprova il numero delle statue  in cui i Romani si fecero raffigurare con la barba. Quanto ai capelli, i Romani usavano portarli corti e distribuiti a ciocche sulla fronte, dedicandovi cure e tempo.

Brano tratto dal libro

 Ludi  Circensis   -  I Gladiatori

Gladiator… Gladiatore. Vale a dire, combattente con il gladius, la spada romana. In epoca repubblicana il loro equipaggiamento era pressoché quello usato in guerra, poiché si trattava di prigionieri di guerra, ma, da Augusto in poi, i combattenti vennero divisi in classi di gladiatori in base al tipo di combattimento e l’armamento si adeguò alla specialità.

Quasi sicuramente, ai tempi della Repubblica, i primi gladiatori, ossia il Sannita e il Gallo, devono aver lottato con le stesse armi con cui si combatteva nel Sannio o in Gallia; questo, però, non vuol dire che il Gallo o il Sannita d’epoca successiva  fosse originario di quelle terre.

In epoca imperiale le classi gladiatorie vennero riformate e specialità di combattenti come il Gallo e il Sannita finirono per scomparire, sostituite da altre come  quelle del Trace, del Secutore , ecc…

Quali erano, dunque, le armi di offesa e  di difesa di questi combattenti che come posta mettevano la propria vita?  

In testa esibivano la galea o elmo, ed intorno al braccio una protezione chiamata manica; un’altra protezione, fissata alla spalla sinistra e fatta in modo che proteggesse anche la testa, era chiamata galerus. A protezione delle gambe portavano  l’ocrea, ossia   lo schiniere di cuoio oppure  le  fasciae, bende

che coprivano gambe e braccia .

Ma chi erano questi combattenti? Da dove arrivavano?

Potevano essere dei professionisti, ma anche prigionieri di guerra, galeotti, condannati per reati comuni. E potevano essere schiavi, liberti e anche uomini liberi e perfino donne: apprezzatissime, infatti, erano le gladiatrici. Provenivano da terre lontane, Gallia, Tracia, Germania, ecc…

Da iscrizioni, pitture, ecc, si conoscono con  sicurezza almeno una dozzina di classi gladiatorie,  ma  ve n’erano molte di più  e derivavano soprattutto dal tipo di combattimento e dal tipo  di avversario.

 

Una figura particolare era il gregarius, il quale costituiva una categoria di minor costo, da alternare, negli spettacoli, ai grandi atleti. E ciò significa che dietro questi spettacoli, si muoveva un grosso giro d’affari.

Esattamente come ai giorni nostri ed alle moderne competizioni sportive.

Esisteva un’organizzazione assai complessa ed articolata ed esistevano leggi che la regolavano: le Leges Gladiatoriae, diverse nella provincia da quelle di Roma, dove i giochi  erano programmati ed allestiti solo con il consenso del Senato o dell’Imperatore.

Non così nella provincia. Qui conosciamo una figura

Davvero  interessante: il ”lanista”.  Imprenditore,  lo

chiameremmo oggi.

Chi era il lanista? 

Era il Capo e il responsabile di quella che era chiamata la familia gladiatoria, a cui facevano capo tutti i gladiatori della zona. Un individuo, quasi sempre, di pessima fama, che svolgeva un’attività di imprenditore di spettacoli gladiatori. Si occupava del mantenimento e dell’addestramento degli atleti ed organizzava anche combattimenti su richiesta, per le più svariate occasioni.

Nel corso dei secoli, questi spettacoli divennero così costosi, per l’altissimo prezzo che il lanista chiedeva per i suoi atleti migliori e più quotati, che il Senato dovette intervenire e fissare un tetto massimo sul prezzo della prestazione di ognuno di loro.

Osannati, viziati e coccolati, al contempo, però, sempre privati della libertà, i gladiatori vivevano una vita precaria e pericolosa, contribuendo ad arricchire quella di altri. Spinti dal miraggio di ricchezza e notorietà, erano tanti i giovani che affrontavano i rischi dell’arena, tanti anche i giovani appartenenti a nobili famiglie decadute e squattrinate che, mettendosi nelle mani di un lanista, scendevano nell’arena, nella speranza di riacquistare lustro e ricchezza. Si trattava di uomini liberi che costituivano una categoria a parte, ma le categorie erano diverse.

Ecco come erano divise:

-Noxi  ad gladium ludi damnati, ossia, condannati a

morte senza scampo,   poiché   scendevano   disarmati  nell’arena.

- Noxi ad gladium, condannati ai lavori forzati, a cui veniva concessa la libertà se fossero sopravvissuto al combattimento

- Ad gladium,  schiavi destinati all’arena.

-  Auctorati, uomini liberi che scendevano nell’arena.

-  Ad  gladium, schiavi ceduti in affitto dai padroni.

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