ESCAPE='HTML'

    Il Santo Graal

     ESCAPE='HTML'


    IL SANTO GRAAL
    La leggenda del Santo Graal, più di ogni altra mistica credenza, governò l’animo ed a volte l’intera esistenza non solo di re e principi, ma  di tutto il popolo occidentale.

    Perché  tanto interesse?
    Non certamente per semplice curiosità di vedere  e toccare gli strumenti di tortura del Cristo, ma per ragioni assai più profonde.

    Che cos’è il Santo Graal? Da dove deriva il suo nome?
    Graal, dal latino medioevale gratalis, significa: vaso, coppa, calice e nel XI e XII secolo, nel contesto franco-celtico per indicare vaso o coppa si usavano termini come grasal o grazal e ancora oggi è in Val d’Aosta è in uso il termine grolla. Il primo, però, intorno al 1200, ad identificare il Graal con il Veissel ossia il vaso o la coppa con cui il Cristo celebrò l’ultima cena, fu il francese Robert de Boron.
    Il Graal é, dunque, il calice usato dal Cristo nell’ultima cena con i suoi discepoli per mutare il vino nel suo sangue.

    Dove si troverebbe, oggi, il Santo Graal?
    Secondo la tradizione, Giuseppe d’Arimatea, uno dei componenti del Sinedrio di Gerusalemme, contrario a quella condanna, portò con sé il Calice dell’Ultima Cena e raccolse il sangue colato dalla ferita prodotta dal colpo di lancia nel costato del Cristo. Egli conservò il sangue e lo custodì fino alla sua morte, quando lo affidò al fratello minore che lo portò in Bretagna, nel castello di Corbenic.
    Da quel momento, del Santo Calice  non se ne seppe più nulla fino al Medio Evo: scomparso, si diceva, a causa delle iniquità degli uomini.

    Fu proprio allora, intorno all’anno 1000-1100, che si aprì  la “caccia” alla Reliquia;  ebbe inizio, cioè, una ricerca su dove fosse finito.

    Una leggenda narra che intorno al 1300 I Templari in fuga dal re di Francia sarebbero salpati per la Scozia dove avrebbero costruito la Cappella Rosslyn ricca di simboli, in grado di svelarne il mistero.  In seguito, continua la leggenda, i Templari avrebbero raggiunto l’America per costruire una nuova Gerusalemme.

    Vari indizi sparsi, come il rosone del Portale della Cattedrale di San Nicola a Bari, indicherebbero diverse località sparse in Europa. Si racconta che, rinvenuto, sempre dai Templari, sotto le rovine del Tempio di Gerusalemme sia stato portato in Francia nel castello di Gisors; secondo un’altra leggenda, fu portato a Roma da San Pietro  e durante le persecuzioni, San Lorenzo lo avrebbe spedito a Juwsca in Spagna.

    Secondo numerose altre leggende, invece, si troverebbe in Italia; forse a Genova, portato intorno al 110, da marinai oppure nel Castel del Monte, nei pressi di Andria, portato e nascosto da Federico II, ma potrebbe trovarsi anche a Torino, portato insieme alla Sindone dai Crociati.
    La più famosa ed operosa ricerca del Santo Graal, però, fu quella, intrapresa dai Cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù. Questi, dopo lunghe ricerche,  finirono per rintracciarlo e lo portarono all’abbazia di Glanstorbury, dove fu messo sotto custodia.
    In quella ricerca, re Artù (personaggio, in verità, di cui sono in tanti a dubitarne l’esistenza), si sarebbe ispirato all’Ordine dei Cavalieri Templari (anche questi, custodi e cacciatori di reliquie di ogni genere); perfino il mantello dei Cavalieri della Tavola Rotonda era come quello dei Templari: bianco e con una Croce Rossa.

    Per molti studiosi l’odierna Glanstorbury sarebbe la mitica Avalon di re Artù, dove, per l’appunto, era custodito il Santo Graal, ritrovato da Persifal,  Cavaliere senza macchia.
    Solamente un cavaliere puro e senza macchia, secondo la leggenda, avrebbe potuto trovare e toccare il Calice: purezza dello spirito, però, più che purezza della carne. E soprattutto un cavaliere di grande generosità d’animo, privo di egoismo o protagonismo, che avesse avuto lo scopo di trovare la Reliquia non per se stesso, ma per il bene dell’umanità. Questo cavaliere era Persifal.                  Al Sacro Calice si attribuivano poteri soprannaturali, quali la Conoscenza, la Preveggenza, ecc… per cui le ricerche furono tali e tante, culminate in quelle di Artù e dei suoi Cavalieri.
    Ai Cavalieri che tentavano l’impresa veniva consegnata la Sacra Lancia, quella con cui il centurione romano aveva dato il colpo di grazia al Cristo moribondo, e che era tenuto a restituire  al Signore di Avalon in caso di fallimento… Così, di Cavaliere in Cavaliere, si arrivò al successo di Parsifal, il Cavaliere-senza-macchia.
    Lancia e Calice, dunque, erano due reliquie strettamente legate fra loro: la prima aveva prodotto il sangue del Cristo e la seconda lo conteneva e preservava.

    Per le sue straordinarie proprietà, però, il Santo Graal non fu mai considerato una semplice reliquia, ossia un oggetto fisico, ma piuttosto come una “forza spirituale”, mistica e sovrannaturale, capace di permeare di  sé l’animo umano, penetrarlo e colmarlo di luce e conoscenze.
    Non solo: capace anche di assumere forma ed aspetto diversi. 
    Forma di smeraldo, ad esempio, ma questo porta ad un’altra leggenda dai contorni esoterici. 
    Oppure all’aspetto di una Colomba, ma anche questo porta ad un’altra credenza: quella legata alla Dottrina Catara. Secondo i Catari (considerati eretici)  Maria Maddalena portò il Calice a Ratis, in Francia, da Gerusalemme.  Sempre secondo i Catari, il Venerdì Santo, il Graal appariva sostenuto da due  Angeli e da una Colomba (manifestazione dello Spirito Santo), che vi deponeva l’Ostia consacrata direttamente da Dio.

    Una leggenda, quella del Santo Graal, tra le più affascinanti, che per secoli ha catturato l’animo degli uomini per il suo mistero e simbolismo.
    Pittura, Letteratura, Musica, Cinema, Filosofia… ogni forma d’Arte ne è stata espressione lungo i secoli ed ancor oggi.

    Esistono, infatti,  ai nostri giorni ed in ogni parte del  mondo, ricercatori della Sacra Reliquia.
    In Germania vi è una “Associazione Cercatori del Graal”, i cui associati si ispirano agli Ordini Cavallereschi.
    Né mancano in Italia associazione quali: “Supremus Ordo Equestre Templi” oppure “Cavalieri del Santo Graal”, con orientamento politico ma con fini essenzialmente spirituali… si spera!

    Il Santo Calice esiste davvero?
    Possiede le “proprietà” che gli vengono attribuite?
    Dove si troverebbe?
    Qualcuno, puro di animo, riuscirà a ritrovarlo, dopo essere di nuovo scomparso a causa della iniquità degli uomini?
    Da dove cominciare la ricerca?
    Altri Paesi, oltre alla Germania, rivendicano il privilegio di aver custodito il Santo Graal per qualche tempo nella propria terra: La Francia, nella fortezza di Montsegur, la Spagna, nell’abbazia di Mont-serrat…. Forse si potrebbe cominciare da lì!

    I FALSI della STORIA - Il Priorato di Sion

     ESCAPE='HTML'

    Il Priorato di Sion

     

    Questa, non vuole essere un’indagine, ma solo una personale opinione su una realtà inconfutabile: l’aspirazione dell’uomo di penetrare il mondo del mistero legato a stati di coscienza interiore, messaggi divini, fenomeni legati alla natura o altro ancora.
    Un’aspirazione umana che ha percorso tutta la storia e forse anche la preistoria, inseguendo la ricerca di poteri e conoscenze che potessero essere utili alla comunità.
    Un’aspirazione legittima e positiva che, però, molto spesso, si è  trasformata in strumento egoistico e negativo,  necessariamente occulto, attraverso cui esercitare sugli altri dominio ed opera di persuasione.
    E’ il mondo delle  Sette, delle Confraternite e delle Società Segrete e, anche se diversa è l’origine e la finalità di ognuna di loro (politica, religiosa, economica, criminale), hanno tutte una cosa in comune: la segretezza e il raggiungimento di uno scopo prefisso.

    - Il Priorato di Sion

    Trattasi di una setta di cui dubito ci si sarebbe interessati se non fosse legata ad un episodio di isterismo culturale e letterario collettivo.
    “CHRISTUS A.O.M.P.S. DEFENDIT”
    (Christus Antiquus Ordo Mysticusque Prioratus Sionis Defendit : Cristo difende l’Antico ordine Mistico del Priorato di Sion)
    Un Antico Ordine Mistico, lo definisce il suo fondatore.
    Una setta, in realtà, fondata nel 1.956, che si ispirava ad una Confraternita del passato che portava lo stesso nome.
    Il fondatore, Pierre Plantard, uomo dalla complessa personalità e dalla fervida immaginazione, era un razzista, rivoluzionario, anticlericale e con qualche conto in sospeso con la Giustizia. Tipografo di professione, passò l’intera esistenza a creare falsi documenti, allo scopo di costruirsi un passato glorioso con radici lontane.

    “C.I.R.C.U.I.T. » (Cavalleria di Istituzione e Regola Cattolica e di Unione Indipendente Tradizionalista) era il nome del giornale attraverso cui divulgare il proprio credo, le ricerche, le presunte conoscenze e le scoperte altrettanto presunte.

    Le finalità di questa setta erano tante:
    - Restaurazione in Francia di una nuova Monarchia e Cavalleria.
    - Fondazione di un Sacro Impero d’Europa
    - Sostituzione della Chiesa Cattolica Romana con una nuova Religione di Stato universale e profetica.
    Per realizzare tutto questo, Plantard e i suoi seguaci iniziarono una frenetica attività di stampa e divulgazione di documenti (più o meno  falsi), molti dei quali sulla figura del parroco di Rennes-le-Chateau, dove, secondo le sue ricerche, si trovava la tomba del Cristo.

    In realtà, simpatizzanti e seguaci non mancavano: la ricerca di una Nuova Verità, surrogato di una religiosità inappagata e di una scienza fallibile, affascinava e catturava.
    E poi, la tendenza del mondo occidentale a lasciarsi affascinare dall’occulto e dall’incomprensibile… quanto più occulto ed incomprensibile possa essere…  Grazie anche al successo di un best seller dell’epoca, “ Le tresor maudit” (Il tesoro maledetto) ed alle inchieste televisive condotte da giornalisti come Lincoln ed a manoscritti e dossier pubblicati in un altro libro dalle vendite record: “Il Santo Graal”.
    Tutto serviva alla Setta per legittimarsi e darsi una continuità con una Confraternita fondata da Goffredo da Buglione durante le Crociate e che portava il nome di Priorato di Sion.

    In realtà, pur riconoscendo  che l’Antica Confraternita sia potuta realmente esistere, non vi è oggi nessuna traccia che ne ricordi l’esistenza: né una chiesa, né un college, né altro.
    Caduta nel dimenticatoio.
    Nemmeno di questo Nuovo Priorato, però, nonostante abbia resuscitò quello antico, si sa più nulla dal 2.000, anno della morte del suo fondatore.
    Se siamo ancora qui a parlarne è perché un alone di mistero avvolge ancora questa setta. 
    La capacità degli autori de “Il Santo Graal”   e “Il Codice da Vinci”  di mescolare vero e falso, è tale da indurre all’equivoco e far precipitare in un mare di congetture senza né capo né coda.

    Nel Santo Graal   si riportano le liste di Grandi Maestri (tra cui Da Vinci, Botticelli, Hugo, Newton, ecc) e si parla di decifrazione di codici segreti, rebus, indizi nascosti in dipinti, ecc. e si fanno congetture sulla fondazione dell’Ordine dei Templari.
    Nel “Codice da Vinci”  e in “Angeli e Demoni”, il primo, un’affascinante ed intrigante ricostruzione del mito e il secondo, un assai mediocre tentativo di proseguire sulla stessa rotta, l’autore spinge la propria vulcanica mente verso il fantasy più ad oltranza.

     

    I Falsi della Storia - Il Sepolcro di CRISTO in FRANCIA

     ESCAPE='HTML'

     

     

     

    E’ sicuramente il falso d’autore più intrigante della Storia. Ma a cosa si riferisce?
    Ad una ipotetica tomba di Cristo che si troverebbe nei pressi del villaggio di Rennes-le-Chateau, in  Francia.
    Chi ne è stato l’artefice?
    Come prima risposta verrebbe da fare il nome di Dan Brown, autore del  libro: “Il Codice da Vinci”.  In realtà, questo libro, che ha reso multi miliardario il suo autore, è lo sviluppo, fantasioso e romanzato, di un’altrettanta fantasiosa ricerca condotta nel 1.980 dai giornalisti Lincoln, Leigh e Baigent sul “Il Santo Graal”
    Secondo le ricerche e gli studi condotti dai tre giornalisti, il Cristo non sarebbe morto sulla croce, ma soccorso e curato, appena dopo esservi stato deposto.
    In verità, questa teoria ha attraversato i secoli prima di arrivare a Brown, trovando sostenitori ed oppositore.
    Anche la sottoscritta ne fa cenno nel suo ultimo libro “La Decima Legione” nel brano: Lo sgabello del dolore.
     

    Secondo questa fantasiosa teoria, che, come spesso succede, affascina coloro che sono attratti da tutto ciò che è enigmatico ed  oscuro, il Cristo avrebbe sposato Maria Maddalena, la quale gli avrebbe dato due figli: Tamar e Gesù il giovane. Con la famiglia si sarebbe trasferito in Francia, nei pressi di Les Pontils, dove avrebbe avuto un terzo figlio, Joseph, e dove sarebbe morto in tarda età. Qui la stirpe divina si sarebbe tramandata per circa quattro secoli ed in incognito, prima di incrociare I Franchi e la stirpe dei Merovingi.

    A sostegno di questa loro teoria, i tre giornalisti e qualche anno dopo anche Brown, chiamano in campo il famoso quadro del pittore secentista Nicolas Poussin: “I Pastori in Arcadia”, del 1.640.
    In questa splendida tela  è ritratto un gruppo di pastori  che stanno osservando una costruzione a forma di parallelepipedo, la quale potrebbe anche essere una tomba. ( in zona, a Les Pontils, ve ne sono di diverse).
    Secondo le indagini e le ricerche di Lincoln e degli altri due giornalisti, attraverso decifrazione di codici e interpretazione di enigmi, quella sarebbe la tomba in cui fu sepolto il corpo di Cristo.

     

    La domanda che molti si pongono ancora oggi è: il Cristo è morto sulla Croce oppure no?
    Per i veri credenti, la domanda neanche si pone, ma per gli altri il dubbio permane ed è condotto avanti con molta astizia. In realtà, con un po’ di ragionamento e qualche calcolo, i dubbi sono destinati a sparire rapidamente.
    Cominciamo dal pittore.
    Quando Poussin dipinse la tela, nel paesaggio scelto come sfondo non esisteva nessuna costruzione a forma di parallelepipedo o tomba che fosse.  Gli autori dei due libri, però, insistono nell’affermare il contrario.
    In realtà, proprio in zona, a Rennes-le-Chateau, c’era davvero un piccolo mausoleo,  ma non era opera risalente al ‘600, bensì al ‘900. L’aveva voluto il proprietario del terreno il quale, però, dopo il successo dei due libri  e la continua invadenza di curiosi, turisti ed avventurieri in cerca di tesori (ci sono altre leggende legate a quel posto), fini per farlo demolire.
    Oggi, dunque, non c’è alcuna costruzione. Al contrario,  c’è un  cartello che vieta ai curiosi di avvicinarsi e, soprattutto, vieta gli scavi.
    Recita così: “ Les fouilles sont interdites”
    (Gli scavi sono proibiti)
    Suggestivo ed intrigante, dunque, il lavoro di Lincoln e di Brown, ma assolutamente un falso, sia pur assai ben congegnato.

    Le Iscrizioni delle PERGAMENE di RENNES-LE-CHATEAU

     ESCAPE='HTML'

     

    Non c’è mistero che si rispetti senza la propria pergamena, rotolo di papiro o lastra di pietra o bronzo. Famose sono diventate quelle di Rennes-le-Chateau, in Francia.
    Dove e quando, sono spuntate fuori?
    Nel 1.887, nella chiesa del paese, durante i lavori di restauro dell’altare, promossi dal parroco, Berenger Saunière.
    Le offerte dei fedeli furono piuttosto generose (lasciti, messe, indulgenze ed altro) e il buon parroco si trovò a maneggiare parecchi quattrini. Circostanza, questa, che scatenò l’estro creativo dello scrittore francese G. De Sède, autore delle improbabili e fantasiose vicende di un romanzo intitolato “Le tresor maudit” (Il tesoro maledetto).
    Spostando la lastra di marmo dell’altare, il parroco trovò, all’interno di una colonna una piccola cavità che conteneva quattro pergamene dai contenuti enigmatici e alquanto misteriosi. Così misteriosi da convincerlo a recarsi fino a Parigi per sottoporli a “lettura” da parte di esperti di messaggi criptati. E giacché si trovava nella capitale, il prroco avrebbe anche acquistato una copia del quadro.
    Ed è a questo punto che cessa il buon senso e ci si tuffa in un mare di congetture, supposizioni e perfino mistificazioni.
    L’esperto parigino (o parigina… non si sa con precisione) così traduce ed interpreta due delle pergamene:

     

     

    La prima iscrizione: 
    “A re Dagoberto II ed a Sion appartiene questo tesoro. Egli è morto lì.”
    Che cosa significa? Che quella pergamena era la mappa di un tesoro? Un tesoro a cui il parroco avrebbe attinto a piene mani ed, in parte, generosamente distribuito, contribuendo personalmente ai lavori di restauro?

    E quei due nomi: re Dagoberto II e Sion (che sta per Priorato di Sion)?
    Dagoberto era un Sovrano della stirpe dei Merovingi.
    I Merovingi erano Franchi, lo si sa. Quello che non si sa,  è il legame di questo Sovrano con i fatti di Rennes-le-Chateau e la famiglia del Cristo che, secondo certe teorie, abbia finito proprio lì i suoi giorni e vi sia stato sepolto.

    E’, forse, questo il vero “tesoro”, fonte della rcchezza del buon pretino? Uno sconvolgente segreto che tale doveva restare e con cui ricattare lo stesso Vaticano? Il segreto della morte del Cristo?

    Da quel mmentoSauniere cominciò ad esplorre I dintorni, ad acquistare terreni, costruire stradine ed innalzò anche la “Tour Magdala” in onore della Maddalena.

    C’è, però, chi non é di questo parere e non crede alle pergamene e neppure al viaggio a Parigi. Si pensa invece alla scoperta di preziosi reperti, ma anche ad introiti derivanti dalla vendita a caro prezzo di messe ed indulgenze, che gadagnarono al intraprendente pretino l’accusa di simonia e e la sospensione dell’ufficio.

     


    La seconda Iscrizione:
    “Pastora. Nessuna Tentazione. Che Poussin, Teniers detengono la chiave: Pace 681. Per la Croce e per questo Cavallo di Dio, io compio “anniento” questo demone di guardiano a mezzogiorno. Mele Azzurre.”
    Che cosa significherebbe?
    Chiave 681 sarebbe l’anno in cui sono avvenuti i… chiamiamoli così, mescolamenti genealogici (che tradotto vuol dire: matrimonio) fra un discendente del Cristo e un membro della famiglia reale della Dinastia Merovingia?
    I Merovingi,  discendenti di Cristo?
    Affascinante, è stata definita questa teoria: stravagante, direi io. Inquietante e perfino mortificante per l’umano intelletto.
    Per decine di secoli, dunque, una “genia divina” (il Cristo sarebbe oppure no, Figlio di Dio?) avrebbe vissuto in mezzo a poveri mortali senza mai intervenire in guerre, genocidi, pestilenze, e altro? Uomini e donne, dal sangue divino, avrebbero condotto la propria esistenza come qualsiasi mortale su questa Terra?
    Tutto questo, fino a quando qualcuno non li ha “scovati”: un pretino francese che in punto di morte ha rivelato il suo “segreto”… un pretino che, tra le altre vicissitudini, era stato perfino scomunicato per attività simoniaca?
    Sotto la chiesa, infatti, si trova una cripta ed è probabile che al suo interno vi fossero reperti antichi con il cui traffico clandestino, il bravo pretino si sia è arricchito: era quello il  ”tesoro”.

     

    A questo punto la domanda è d’obbligo: i messaggi delle
    Pergamene sono autentici oppure no?
    La sottoscritta dubita perfino della loro esistenza! Chi ha potuto dare un’occhiata al famoso pilastro che regge l’altare,  ha potuto anche costatare che il nascondiglio ( un minuscolo foro) è talmente piccolo da non poter contenere assolutamente nulla e tanto meno quattro pergamene.

    Oltre alle Pergamene, però, replicano gli irriducibili di tale teoria, ci sono varie iscrizioni e rebus, distribuiti qua e là, all’interno ed all’esterno della chiesa.
    Quello che per molti costituisce un affascinante rompicapo si trova inciso sul portale. Breve e lapidario, recita così:
    “Terribilis est locus iste”
    Una scritta latina che per molti significherebbe :
    «Questo luogo è terribile »
    Un vero latinista, però, come la tradurrebbe?
    Ricordo ancora la famosa frase risalente ai miei primi approcci con questa “morta” ma sempre viva lingua: “mus farinam est”. Io credevo che  il topo fosse fatto di farina, anziché mangiarsela, la farina.
    La spiegazione più semplice e plausibile dovrebbe essere ricercata nella personalità di colui che ha tracciato tale iscrizione e cioè il bravo, simoniaco pretino, il buon
    Sauniére il quale l’ha estrapolata da un versetto biblico:
    “Terribile è questo luogo, che è la Casa del Signore e la Porta del Cielo” (Genesi, 28 – 17)  e terribile sta per mirabile
    e non certo, spaventevole o, se vogliamo: rispetto e timore reverenziale.
    Quale credente definirebbe terribile e spaventevole una Chiesa, ossia la Casa del Signore?

    C’è, poi, la sibillina iscrizione: “Christus A.O.M.P.S. DEFENDIT”  tradotta in:
    “Cristo difende l’Antico Ordine Mistico del Priorato di Sion”… 

    Sette E CONFRATERNITE - L'Ordine dei Cavalieri

    I CAVALIERI TEMPLARI

    Cavaliere dell'Ordine dei Templari


    L’Ordine dei Cavalieri nacque dall’esigenza e dall’interesse, in Terra Santa,  di proteggere l’afflusso di pellegrini, curare i feriti,  combattere o presidiare le fortezze costruite dai Crociati:
    - dei feriti si occupavano i Cavalieri di Malta e i Cavalieri Teutonici
    - della difesa militare si fero carico soprattutto i Cavalieri Templari.

    In realtà, troppi, gli Ordini e le Confraternite all’interno di quel grande organismo che era il “Regno delle Crociate”
    e, di conseguenza, troppe discordie, come vedremo e… troppi segreti e misteri.
    In questa prima fase ci occuperemo di due Ordini:
    - Templari
    - Teutonici

     

     

    Innanzi tutto chi erano?
    Usando un linguaggio moderno, li definiremmo: “Corpo Scelto con licenza di uccidere.”
    In realtà erano molto di più.
    Erano monaci-guerrieri francesi e costituivano il baluardo armato della Cristianità, con l’impegno di difendere il pellegrino e combattere il Saraceno.
    Erano anche una Confraternita ricchissima e potentissima. Troppo ricca e potente. Tale da impensierire la Chiesa e stuzzicare gli appetiti dello Stato. (soprattutto di quello francese).
    Ricchezza e potenza furono proprio la causa della loro rovina che arrivò insieme all’accusa più facile e veloce per l’epoca, se si voleva annientare qualcuno: l’eresia.
    Il 18 marzo del 1314, nei pressi della Senna furono mandati al rogo con quell’accusa, i capi della Confraternita.

    Ma… cominciamo dall’inizio.
    L’”Ordine del Tempio”, monastico-guerriero, fu fondato nel 1118, nel Regno Cristiano di Gerusalemme, da nove Cavalieri francesi,
    Nei pressi delle rovine del Tempio di Salomone, i nove, davanti al Patriarca di Gerusalemme, fecero solenne voto di: castità, povertà ed obbedienza, col giuramento di difendere la Cristianità
    Il loro nome della confraternita era:  “Poveri Cavalieri di Cristo” e come poveri vivevano, seguendo le regole di vita di qualunque monaco.
    In realtà, non erano monaci come gli altri.
    Ben presto si rivelarono essere uomini ambiziosi e pronti ad impugnare il ferro per la  “Causa”.
    E non erano poveri, ma sostenuti da facoltose famiglie, prima fra tutte, quella di S. Bernardo.
    Dieci anni  dopo i membri della Confraternita erano saliti a 300, con una milizia armata di 3000 uomini e per la prima volta nella storia della Chiesa, per fissare le Regole del nuovo Ordine, l’Ordine del Tempio”, venne addirittura fissato un Concilio.
    L’ordine era composto di Cavalieri (rigorosamente di nobile origine) cappellani, scudieri e soldati.
    A capo c’era il Gran Maestro; seguivano:
    - Il Siniscalco (assistente del primo)
    - Il Maresciallo (capo delle Forze Armate)
    - Il Commendatore ( amministratore dei beni)

    I privilegi dell’Ordine erano davvero tanti:  beni esenti da tasse, diritto di riscossione di tributi sui beni e perfino  facoltà di amministrare la Giustizia all’interno dei possedimenti.

    Durante i primi cento anni, lasciti e conquiste, consentirono all’Ordine di accumulare un’enorme ricchezza.
    Una ricchezza incalcolabile, proveniente da donazione dei propri beni da parte degli stessi Cavalieri, lasciti di famiglie di nobili e ricchi mercanti,  regalie di Principi e Re in compenso dei servigi ottenuti: un’enorme ricchezza in denaro, oro, terreni, palazzi, castelli, e altro ancora.
    Da aggiungere a questa, l’enorme bottino portato via dall’Oriente.
    Tanta ricchezza fece di loro i banchieri di Papi e Re e la
    sola sede di Gerusalemme non bastò più.
    Se ne crearono molte altre: ad Antiochia, a Tripoli, in Francia, Inghilterra, Portogallo, Italia, Ungheria, ecc.. e l’Ordine divenne una vera e propria “multinazionale” economica, politica e militare.

    Tanta ricchezza, però, finì per creare intorno all’Ordine dei Cavalieri un alone di mistero,  alimentare diffidenze e sospetti, suscitare gelosie e destare appetiti.
    Si diceva di loro che avessero  scoperto la Pietra Filosofale, che praticassero l’Alchimia e custodissero altri segreti.
    Si diceva che  non adorassero solo il Cristo e la Croce, ma anche un misterioso “idolo”.
    Oggi, in molti concordano nel ritenere che quell’”idolo”, che tanta parte ebbe nel Processo intentato contro di loro, altro non fosse che il lenzuolo piegato della Sindone con l’immagine del Cristo.
    Se consideriamo la loro grande loro capacità di Cacciatori e Ricercatori di Sacre Reliquie, non si fatica a credere che si trattasse proprio della famosa reliquia custodita a Torino.

    L’attacco all’Ordine era, dunque, questione di tempo.
    Arrivò nel 1307 nella persona del re di Francia, Filippo il Bello, il quale, per voler mettere nei guai i Cavalieri, aveva molte ragioni:
    - era debitore nei confronti dell’Ordine  per una ingente somma.
    - Aveva chiesto e mai ottenuto di diventare Gran Maestro dell’Ordine, privilegio concesso ad altri Sovrani.
    - Gli era stato negato un ulteriore e più ingente prestito per fronteggiare la guerra contro l’Inghilterra. 

    Il passo dal rancore alla vendetta fu  breve e l’occasione gliela dette la visita a Parigi del Gran Maestro, preoccupato delle strane voci che circolavano sull’Ordine e sui Cavalieri.
    All’alba del 13 ottobre del 1307, alla stessa ora e in tutto il territorio francese, uomini armati si presentarono alle Commende. ( i conventi con annesse proprietà, dei monaci-guerrieri). Circa 2000. 
    I soldati del Re arrestarono tutti i Templari e sequestrarono i loro beni con l’accusa di eresia, così formulata:
    .  rito segreto di Iniziazione attraverso cerimonia blasfema.
    -  Adorazione di un “idolo” non ben definito, da parte del Gran Maestro  e delle alte gerarchie dell’Ordine.
    - Omissione della consacrazione dell’Ostia durante la celebrazione della Messa
    - Sodomia


    Come ogni Confraternita che si rispetti, anche i Templari , in verità, avevano tutta una serie di rituali segreti, soprattutto legati all’Iniziazione, suggestiva, ma discutibile e talvolta incomprensibilmente blasfema, come risulta dalle Carte Vaticane del Processo intentato contro l’Ordine nel 1308.
    Seguiamo una cerimonia d’Iniziazione.
    L’adepto, accompagnato da due Scudieri, si reca alla “Casa dell’Ordine” dove, attraverso uno spiraglio, due Templari gli chiedono. “Cosa desideri?”
    “Entrare nel Tempio.”  è la risposta.
    La porta si apre ed egli è condotto alla presenza del Gran Maestro e di 12 Templari, tutti con indosso il bianco mantello con sulla spalla sinistra ricamata la Croce.
    Inizia l’Interrogatorio e segue il Giuramento, che si conclude con il “Bacio della Pace” sulla bocca, ma anche
    (risulterà dagli atti di accusa) “in fine spine dorsi”… e non occorre traduzione.
    Se gli atti di accusa sono veritieri, risulterà che all’adepto viene richiesto perfino di sputare sul Crocifisso… ma questo era un particolare ancora ignoto prima del processo e, in verità,   un particolar assai debole, considerata la fonte: le  “confessioni” ad un altro detenuto, di un Cavaliere espulso dal Tempio e finito nelle carceri di Parigi.

    Ma torniamo al Processo.
    Re Filippo ne affidò il corso a Guillaume de Nogaret, inflessibile ed implacabile Inquisitore della Chiesa di Francia ed amico suo personale.
    Si trattava di un processo di carattere religioso e non spettava al Re intentarlo, essendo esclusivo diritto della Chiesa: un palese abuso di potere da parte della Francia.
    Filippo, che voleva sbrigare la faccenda in poco tempo, ordinò la tortura per far confessare gli accusati e farli condannare al rogo, pena prevista dalla Chiesa Romana per quei “reati”.
    Clemente V, però, il Papa, non ne fu affatto contento: il diritto di sottoporre a torture, mutilare e bruciare in nome di Cristo, spettava solo alla Chiesa ed egli rivendicava per sé e per la Chiesa quel “diritto”.
    Nel febbraio dello stesso anno, egli annullò ogni potere dell’Inquisitore francese e pur tra le vivaci proteste di re Filippo, intentò un nuovo processo, conducendo personalmente l’interrogatorio su 72 Templari; gli altri furono interrogati da vescovi e cardinali.
    La Chiesa era sempre stata dalla parte dei Cavalieri e questi, forse, si aspettavano lo fosse anche  Papa Clemente.
    Invece, il Papa (forse per opportunità o forse per timore nei confronti della Francia) ordinò lo scioglimento dell’Ordine: una decisione che segnò la fine dei Cavalieri.
    Quelli che avevano confermato la confessione furono liberati, gli altri, condannati al rogo.
    Quanto al Gran Maestro ed ai vertici dell’Ordine, proprio sul sagrato di Notre Dame, essi confermarono le proprie confessioni e vennero condannati al carcere perpetuo, ma il Gran Maestro, Jacques de Molay, appreso dello scioglimento dell’Ordine, ritrattò ed affermò che la Regola del Tempio era giusta, lecita e cattolica e che i Cavalieri non erano colpevoli di alcuna forma di eresia.
    Re Filippo ordinò immediatamente il rogo per lui e gli altri.
    Era il 18 marzo del 1314.
    Il Gran Maestro affrontò il rogo senza l’abito sacro dei Templari, quale gesto simbolico d’affermazione d’innocenza ed accompagnò il gesto con una solenne Maledizione nei confronti delle due istituzioni, colpevoli di quelle morti: lo Stato e la Chiesa e predisse, entro l’anno, la morte dei rappresentanti di entrambe.
    Gli eventi si verificarono esattamente in aprile e nel novembre del 1314.

    A questo punto sorge una domanda: perché tante confessioni, nessuna delle quali sotto tortura? (solo re Filippo fece accompagnare gli interrogatori con la tortura)
    La risposta sembra essere una soltanto: il Tempio aveva i suoi “segreti”, ma anche una limitata gerarchia a cui era consentito di accedervi.
    Quali erano questi segreti?
    Qualunque fossero, non avremo mai modo di conoscerli veramente, poiché qualunque azione veniva sbrigata nel più stretto segreto e quasi mai in forma scritta.
    La regola scritta era riservata solo ai vertici dell’Ordine; tutti gli altri ne erano completamente all’oscuro.
    Accanto alla Regola ufficiale, è ormai certo,  ne esisteva una seconda, segreta e non ufficiale, consistente in
    “3 articoli – come ebbe a dire il templare De Montpezat- che nessuno conosce e conoscerà mai. All’infuori di Dio, il diavolo e i Maestri.”
    Intorno a questa Regola segreta si è molto favoleggiato.
    Tracce di essa comparvero per la prima volta alla fine del ‘700, per scomparire e ricomparire circa un secolo dopo in una Loggia  Massonica e scomparire poi definitivamente.
    In essa vi era contenuta forse, la prova di una delle accuse principali  rivolte ai Templari: quella di eresia?
    Molto studiosi si chiedono ancora oggi se i  “Cavalieri di Cristo” fossero davvero eretici oppure no.
    Domanda che resterà sempre senza una risposta certa, soprattutto se si tiene conto che molti nobili,  appartenenti all’eresia degli Albigesi si convertirono, entrando a far parte dell’Ordine. E’ presumibole pensare che qualcuno di loro abbia portato con sé anche il seme di quella eresia.

    In realtà, in seno alla Chiesa erano sorti sospetti già da un secolo, quando l’Ordine era all’apice della propria potenza: Papa Innocenzo  III, prima, e Clemente IV dopo, ammonirono più volte l’Ordine, minacciando un più severo controllo.
    Poiché l’Ordine era costituito da monaci-guerrieri rudi, supinamente fedeli al voto d’obbedienza e nella maggior parte piuttosto ignoranti, è difficile ipotizzare, in siffatte persone, quella sottigliezza mentale capace di elaborare idee di eresia e disubbidienza religiosa.
    Quanti Templari, dunque, erano (se lo erano) davvero eretici?
    L’ipotesi potrebbe condurre all’esistenza di una seconda gerarchia al suo interno, indipendente da quella ufficiale: una società segreta, in seno all’Ordine, dedita a pratiche particolari come l’alchimia e l’esoterismo.
    Non solo. E’ nota la passione dei Maestri Templari  per l’arte della crittografia, come è noto che utilizzassero scritture segrete arricchite da  simboli esoterici.
    Numerosi messaggi criptati, infatti, sono stati  trovati in molte delle strutture architettoniche dell’Ordine e nelle celle dove i Templari furono ospitai durante il Processo.

    Il mistero più inquietante resta, però, quello legato agli atti blasfemi durante i riti di Iniziazione, come quello di sputare sulla Croce.
    Si trattava di un atto di negazione del Cristo?
    Assai improbabile per dei  “Cavalieri di Cristo”.
    E se fosse stato, invece, la negazione della Croce, essendo stata, la  Croce, lo strumento di morte del Cristo?
    Un’ipotesi, certo, ma non del tutto peregrina: questo tipo di eresia, che considerava il culto della Croce una forma di superstizione, era assai diffusa, all’epoca, e punita con il rogo.

    Un’altra domanda: sciolto l’Ordine, che cosa ne fu dei Templari che sopravvissero ai roghi ed ai tribunali dell’Inquisizione?
    Tornati alla vita civile, si presume che molti di loro abbiano ingrossato le file di mendicanti ed erranti. Molti altri, però, sia pure una minoranza, sono sicuramente riusciti a “consegnare” la Regola del Tempio a nuove generazioni. E sicuramente sotto altre forme: società segrete, associazioni e confraternite. In clandestinità e nell’anonimato.
    Hanno attraversato i secoli, fino ad oggi, e rivendicato le proprie radici, affondandole nella “Regola morale dell’Ordine dei Templari.”

     

    I CAVALIERI TEUTONICI

    Cavaliere dell'Ordine Teutonico


    Per cominciare, una nota è doverosa: troppe “crociate” in seno al Regno Crociato e non tutte combattute in Terrasanta.
    Ci furono “crociate” contro i mori in Spagna e quelle contro i pagani nel Baltico; queste ultime, combattute proprio dai Cavalieri Teutonici.

    Il nome completo dell’Ordine di questi Cavalieri era: “Fratelli della Casa Teutonica di Santa Maria di Gerusalemme” ed è l’unico, fra tutti gli Ordini Cavallereschi, esistente ancora oggi. La sua sede si trova a Vienna ed è una benefica istituzione di volontariato.

    Come ogni altro Ordine di Cavalieri, la sua origine è circondata da segreti e misteri.
    Secondo la leggenda, fu un mercante tedesco, in pellegrinaggio in Terrasanta, che, viste le  precarie condizioni in cui versavano i suoi connazionali, decise di costruire una struttura ospedaliera, per soli tedeschi,  dedicandola alla Vergine Maria.
    Dopo varie vicissitudini, quasi tutte disperate e sfavorevoli alla causa, finalmente alcuni principi tedeschi si decisero ad intervenire, trasformando la struttura in un Ordine Cavalleresco: dotandolo, cioè, anche di una forza armata.
    La Cerimonia di inaugurazione avvenne alla presenza dei capi degli altri Ordini dei Cavalieri, oltre che di principi tedeschi.
    Questa investitura, però, condusse l’ospedale, pian piano, ma  inesorabilmente, verso una radicale trasformazione: da Ente assistenziale si trasformò in struttura para-militare.
    Si continuò  ad assistere malati e feriti, naturalmente, ma sempre di più, si finì per  occuparsi di faccende guerresche che contribuirono a cambiare sia lo spirito che la natura della Confraternita.
    Se prima era facile entrare nell’Ordine, essendo la sua natura di carattere umanitario, dal momento in cui diventava Ordine Cavalleresco,  l’adesione diventava faccenda  assai più selettiva, aperta soprattutto a principi, baroni, duchi, militari, ricchi mercanti, banchieri… tutti, rigorosamente di nazionalità tedesca. Solo più tardi, ma molto più tardi, vi furono ammessi anche italiani, inglesi, ungheresi, ecc.. sempre di nobile estrazione.
    Con affiliati di tale calibro, l’Ordine non tardò a diventare un organismo potente, prepotente e con non pochi episodi di violenza e crudeltà.
    Gente dura ed inflessibile con se stessi e con gli altri, e pronta a sacrificare alla Causa, per l’appunto, se stessi e gli altri.
    Gente dura e fiera di appartenere alla razza teutonica: composto quasi esclusivamente di nobili tedeschi, l’Ordine finì  per trasformarsi in un vero esercito potente ed agguerrito.
     

    Proprio questo aspetto, però, finì per attirare su di loro l’accusa di nazionalismo (estraneo, fino a quel momento, alla Causa) e perfino di razzismo: una ambiguità che affascinò il 3° Right, durante la seconda guerra mondiale, fino a punto da volerlo prendere come esempio di modello da seguire.
    A causa, infine, della forza e del carattere dei suoi seguaci, l’Ordine divenne sempre più ricco e potente, palesemente insofferente verso la sovranità papale, ma con il grande merito, grazie alle figure carismatiche di alcuni Grandi Maestri, di farsi “Mediatore” tra Stato e Santa Sede.
    Un esempio di tale “virtù” si ebbe ai tempi delle grandi tensioni fra l’imperatore Federico II di Germania  con la Santa Sede.
    L’Ordine fece da intermediario fra il Papa e l’Imperatore tedesco che per più di una dozzina di anni aveva continuamente rimandato la partenza della sua Crociata (ogni Sovrano ne aveva una propria, indipendente dalle altre), adducendo sempre qualche scusa, tanto da attirarsi addosso una scomunica papale… ma questa è un’altra storia.

    Ambigua e circondata dal più profondo mistero, era anche la Cerimonia di Iniziazione dei Templari, ispirata ai rituali dei Misteri Eleusini ed al culto di Mitra.
    Ciò non deve stupire: il Culto di Mitra era praticato dai legionari romani, considerati i guerrieri per eccellenza e i Cavalieri Teutonici li avevano presi come esempio di condotta militare.
    Cavalieri duri, dunque, a tratti anche spietati, ma ligi alle regole dell’Ordine, soprattutto a quella della più cieca obbedienza, che fece di loro un organismo compatto e con sempre maggior desiderio di espansione territoriale.

    L’occasione arrivò quando, invece di combattere in Terrasanta, i Cavalieri Nero-Crociati, furono inviati in Occidente  a difendere i luoghi di transito dei pellegrini tedeschi verso Gerusalemme ed a combattere popolazioni eretiche ed idolatre come i Prussiani.
    La conquista del territorio fu un gioco per gli spietati Cavalieri dalla Croce Nera sul bianco mantello.
    Come ogni altro conquistare, l’Ordine si affrettò ad edificare
    castelli, cattedrali e, soprattutto, la città di Konigsberd , la sua Capitale.

    La domanda che molti studiosi si pongono, riguardo quelle azioni belliche è: I Cavalieri Teutonici, si macchiarono oppure no di genocidio per conquistare quel territorio e fissarvi la loro capitale?
    Certo è che,  l’Unico Ordine Cavalleresco a  fondare uno Stato, fu proprio quello Teutonico.
    Alcuni studiosi suggeriscono che vi siano stati battesimi di massa, con  la volontà della gente oppure contro di essa, altri, invece, parlano di vero genocidio documentato.
    L’Ordine dei Teutonici, secondo questi ultimi, s’era trasformato in uno strumento d’espansione territoriale a danno delle altre popolazioni: estoni, lettoni, lituani…
    Si racconta che al castello di  Marienburg, quando giungeva un ospite di riguardo, i Cavalieri organizzassero battute di caccia all’uomo: uomini, donne e perfino bambini, venivano rincorsi  attraverso le foreste e uccisi come prede.

    Comunque sia andata, i Cavalieri hanno ubbidito ad un ordine, legati com’erano da cieca ubbidienza al Gran Maestro, il cui potere eguagliava quello di un Sovrano assoluto.
    Ci si è  chiesti anche quale  non fosse la causa di una ubbidienza così totale, cieca e assoluta nei confronti della Causa e soprattutto del Gran Maestro. 
    Solamente la condivisione di segreti e misteri, è la prima risposta che, all’interno di un universo così esclusivo e chiuso agli estranei, doveva esserne il precetto primario .
    Quali erano questi segreti e misteri? Di natura esoterica, dice qualcuno; scientifica, affermano altri… certamente, Conoscenze ignote ai più!
    Prestare Giuramento era un atto irrevocabile, ma non bastava a fare dell’adepto un Cavaliere; doveva seguire un secondo Giuramento per rendere indissolubile il legame con il Gran Maestro .
    Durante questa seconda Cerimonia, detta “Appannaggio”, al futuro Cavaliere  veniva consegnato il bagaglio militare : spada, lancia, elmo, scudo, speroni e cintura per la spada.
    Il tutto avveniva durante la celebrazione di una Messa Solenne e si concludeva con il Bacio della Fratellanza e con grandi festeggiamenti.
    Tutto questo, però, non prima che il futuro Cavaliere non avesse messo per iscritto il suo giuramento di fedeltà all’Ordine e al Gran Maestro, fino alla morte e con l’annullamento totale del proprio individualismo.

    Eletto a vita come un vero e proprio Monarca, il Gran Maestro possedeva le stesse prerogative di un Sovrano Assoluto, compreso quello di con potere di vita e di morte sui “sudditi”.
    D’altra parte, le punizioni erano assai dure, essendo il perdono considerato una forma di debolezza.
    Scrive lo storico L. Daillier:
    “I Teutonici erano germanici e il Gran Maestro non era il rappresentante dell’Ordine, ma l’incarnazione, nella sua veste di capo spirituale-temporale, della potenza della morte, comunione perfetta del ferro, del fuoco e del sangue, sotto il simbolo della Croce.”

    Oggi, per fortuna, dopo avere per secoli ispirato Sette, Istituzioni e Società Segrete  (non sempre lecite), l’Ordine Teutonico sopravvive in una Istituzione religiosa e benefica con sede a Vienna, come si è già detto.
    Le procedure di Investitura sono immutate dai tempi delle Crociate, e negli atti e nelle parole e perfino nell’  ”Appannaggio”, la consegna, cioè, della spada simbolica e, certamente, immutati sono anche i segreti che accomunano questi Cavalieri moderni, sia pure per altre ragioni che si sperano lecite e benefiche, così come affermano.

     


     

    SETTE E CONFRATERNITE: La Setta degli HASHISHIN

    il veglio della montagna

    Hashashin! Con questo termine era indicata la famosa Setta che tanto fascino perverso suscitò sull’Occidente.
    Il termine  “Assassino” deriva proprio da Hashashin, che significa: consumatore di hashish, una droga ottenuta dalla canapa indiana.
    Il nome originale della setta era Isma’iliti,  dal nome del suo fondatore, l’emiro Isma’il ibu Gia’ far.

     

    Isma’iliti… da non confondere con Ismaelita.
    Isma’iliti erano i seguaci della Setta mentre, invece, Ismaeliti erano (e sono) i discendenti di Ismaele, figlio di Abramo e dell’egiziana Agar.

    Come in ogni setta, anche in quella degli Isma’iliti esisteva una gerarchia con a capo il Djebal, o Gran Maestro, meglio conosciuto come “Il Veglio della Montagna” e con prerogative di Monarca assoluto.

    Del “Veglio della Montagna” si tanto favoleggiato, in Occidente: fiumi d’inchiostro e chilometri di pellicola.
    E non sempre a proposito.
    Si è sempre parlato della crudeltà della Setta, ma non si è mai… o quasi mai, fatto cenno alle ragioni delle sue origini.
    Nacque durante le Crociate e lo scopo era lo stesso degli Ordini dei Cavalieri occidentali: difendere il Santo Sepolcro.
    Dai Cristiani, però.
    Gli Isma’iliti erano gli avversari  dei Templari e dei Teutonici, dunque. Tra questi opposti Ordini di combattenti, però, c’era una sorta di cavalleresca intesa.
    Soprattutto con i Cavalieri Teutonici.
    Interessante notare anche quanto l’organizzazione dei due Ordini  fosse simile sia gerarchicamente, che nel comportamento, duro ed intransigente fino alla crudeltà.
    Gerarchicamente i Teutonici si presentavano con una piramide così composta: Gran Maestro, Grande Priore, Priore, frate, scudiero;  l’Ordine islamico invece era così costituito: Djebal, Sheik, Daiikebir, dais, ecc…
    Sia i Templari che i Teutonici, dunque, tennero con questa Setta ogni genere di rapporto e stipularono Trattati  spesso senza tener conto delle disposizioni papali.
    Vale per tutti l’esempio di Federico II di Germania.
    L’imperatore tedesco, per una dozzina e più di anni, era riuscito a continuare a rimandare la sua Crociata (ogni Sovrano europeo aveva la sua bella Crociata), finendo per attirare sul suo capo la Scomunica Papale.
    Finalmente, il Sovrano si decise a partire per la Terrasanta. Assistito dalla fortuna e soprattutto dalla sua capacità di guerriero e stratega, l’imperatore conseguì una straordinaria vittoria  e non esitò a  proclamarsi Re di Gerusalemme e ad auto-incoronarsi.
    Amante dei fasti orientali (Federico possedeva perfino un harem), egli intrattenne rapporti cordiali con il “Veglio della Montagna”,  l’emiro Al-Djebal, che invitò perfino alla sua tavola.
    Si trattava di rapporti diplomatici, naturalmente, e il punto principale era il permesso ai Musulmani di praticare il proprio culto nella città santa di Gerusalemme, ma l’atmosfera era di reciproco rispetto.


    La setta degli Isma’iliti, come ogni altra setta, era selettiva nella scelta dei propri adepti: giovani coraggiosi, atletici e con la vocazione all’obbedienza ed alla fedeltà più cieca ed assoluta; una volta entrati a farne parte, non era più possibile uscirne.
    Si è sempre pensato ( e forse è anche vero) che alla base di tanta fedeltà al “Veglio”, ci  fosse l’uso e l’abuso di sostanze come l’hashish, che schiavizzava i seguaci, rendendoli sempre più dipendenti del Gran Maestro, come accadeva (sia pur con altri mezzi, ai Teutonici).
    Il caso, però, che li ha resi famosi, è legato soprattutto al sultano Aloylin, una figura inquietante, dispotica, sadica e crudele.
    Di lui si raccontava che, per legare sempre più a sé i giovani adepti, egli ricorresse ad un espediente profondamente ingannevole. Li drogava con hashish e li faceva vivere per qualche giorno in un luogo di delizie ed incanti, serviti e riveriti da belle fanciulle pronte ad assecondarli in ogni richiesta. Passato l’effetto della droga, i giovani credevano davvero di essere stati in Paradiso, finendo in tal modo di cadere completamente in balia dell’infido Gran Maestro.
    Annullata ogni loro volontà e personalità, i giovani adepti erano pronti ad eseguire qualunque ordine del Sultano, per tornare in quel  “Paradiso”.
    Perfino uccidere o uccidersi.
    Sempre a voler dar fede a questi racconti, il sultano, per dimostrare ai suoi ospiti occidentali la fedeltà dei suoi guerrieri, offriva loro uno spettacolo agghiacciante: ordinava ad alcuni di loro di gettarsi giù dall’alto della fortezza  e sfracellarsi sulle rocce sottostanti.
    Ordine che i giovani eseguivano con grida di gioia, convinti di “tornare” in Paradiso.


     

    La Vergine di Norimberga

     ESCAPE='HTML'

    Un nome così gentile fa pensare ad un bel quadro che ritrae una dolce fanciulla o ad un romantico romanzo di fine ‘800 con protagonista  sempre una dolce fanciulla… e invece,  la “Vergine di Norimberga” era un infernale strumento di tortura e di morte.
    La mente umana è stata sempre piuttosto prodiga nell’escogitare di tali strumenti, allo scopo di  provocare nel disgraziato sottoposto a tortura il massimo della sofferenza, ma mai si era giunti a tanto.
    La “vergine” era una enorme statua riproducente le fattezze femminili (chissà perché questa scelta di sesso…) , piuttosto  innocua a vederla dall’esterno.
    Il suo interno, però, riservava una forma di supplizio senza eguali: vi erano fissati coltelli  e lame lungo tutta la superficie e due lame, più lunghe e sottili, erano piazzate all’altezza degli occhi.
    Alla base era sistemata  una doppia fila di lame rotanti sopra una botola che si apriva quando il disgraziato vi veniva introdotto per subire il fatale “abbraccio” della “Vergine”.
    Le lame dell’infernale ordigno si mettevano tutte in azione 
    contemporaneamente, facendo letteralmente a piccoli pezzi il condannato, i cui resti finivano, attraverso la botola, in un fiume sotterraneo senza lasciarne traccia.
    Ma… quali gravi reati potevano meritare tanta spietata crudeltà?  Il più comune era quello di eresia e poi tanti altri, fra i quali: omicidio,  vilipendio alla religione,  ecc..
    L’aspetto più inconsueto era che ad emettere e ad eseguire tali condanne, non era un Tribunale statale, ma un Tribunale segreto: la famosa Santa Vehme.

    Nacque in Westfalia, in Germania, alla morte di Federico II, quando il braccio di ferro dell’Impero con lo Stato Papale portò ad un indebolimento del potere imperiale.
    La Vehme, che si definiva abusivamente Santa perché  pretendeva di essere sostenuta dalla Chiesa di Roma,  si prefiggeva di punire i colpevoli sfuggiti alla Giustizia normale e, per tale ragione, il numero di Tribunali andò sempre aumentando e distribuendosi su tutto il territorio.

    Nessuno sfuggiva alla caccia: uomini di ogni ceto sociale, ma anche donne e bambini al di sotto dei dodici anni.
    Una caccia spietata, sostenuta da semplice accusa; perfino in anonimato.
    Poiché il pericolo di accusa era reale e poiché, al contempo, per entrare a far parte di quei Tribunali bastava cedere una congrua somma di denaro, furono in molti ad iscriversi alla Setta per evitare eventuali accuse e relative condanne.
    Il Tribunale era così istituito: un Presidente della Corte e 14 Giudici, di cui 7 nobili e 7 borghesi, uno dei quali doveva assolvere al dovere di boia.
    I Giudici, che erano anche membri della Setta, dovevano prestare Giuramento di fedeltà:
    “Giuro sul mio onore di mantenere i segreti della Santa Vehme celati al Sole e alla Luna, all’uomo e alla donna, all’erba e alla bestia, al grande al piccolo. Giuro che non parlerò né per dono, né per spergiuro, né per paura né per amore, né per argento né per oro e neppure per capriccio di donna.”
    Impossibile immaginare che un simile romantico giuramento nascondesse un segreto così orrendo come la “Vergine di Norimberga”.
    La Setta più sanguinaria della Storia fu operativa per qualche secolo e il suo declino avvenne solo con il ritorno del potere imperiale e della Giustizia Governativa.

     


     

    A CACCIA di RELIQUIE: La VERA CROCE

    LA CROCE

    Il legno su cui il Cristo subì il supplizio, oggi non esiste quasi più. In realtà, sparsi per il mondo vi sono decine e decine di frammenti custoditi in Stauroteche (questo il nome delle teche).
    Il più grande di questi frammenti si trova a Roma nella Basilica di Santa Croce, fatta edificare da S. Elena, madre dell’imperatore Costantino.
    Molti altri frammenti, in Italia si trovano: nel Duomo di Vico del Gargano, nella Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino,ecc..  e ancora: a Cantabria, in Spagna e così via.

    Ma che cosa ne è stato della Croce e come è arrivata in Occidente, da Gerusalemme?
    Bisogna tornare indietro di duemila anni fino al triste giorno della crocifissione e morte del Cristo.
    Deposto dalla  croce, sappiamo tutti, il Cristo non fu sepolto nel cimitero comune. Per gli Ebrei, seppellire in luogo consacrato un condannato a morte, era considerato un atto di profanazione e per questo un atto proibito.
    Anche gli strumenti di morte, croce, spada, pietre…  venivano  sotterrati con il condannato o nei pressi del luogo della sua sepoltura, che era sempre il luogo ove era stato giustiziato.
    Lo sapeva bene l’imperatrice Elena, già avanti negli anni, la quale non voleva morire prima di aver visitato i luoghi del martirio di Cristo.
    Si recò, dunque, circa quattro secoli più tardi, in quei luoghi, nella zona del Golgota, alla ricerca di qualche traccia di quei fatti dolorosi.
    A lungo si aggirò fra ruderi e grotte; fece scavare qua e là ed infine trovò in un  anfratto tre croci e su una c’era scritto:  ” Gesù Nazareno Re dei Giudei”.

    Era una Reliquia molto preziosa. La più preziosa della Cristianità e tutte le Chiese ambivano possederne almeno un frammento.
    La regina Elena cercò di accontentare un po’ tutti: lasciò a Gerusalemme il palo verticale, inviò a Costantinopoli al figlio, l’imperatore Costantino, un secondo pezzo ed un terzo lo portò con sé a Roma.
    Molti altri piccoli frammenti, infine, presero altre vie, come si è già visto; sono gli unici rimasti e tutti insieme costituiscono soltanto il dieci per cento di tutta la Croce.

    Ma che cosa ne è stato della Vera Croce (il palo verticale), quella rimasta a Gerusalemme?
    Attraversò indenne più di un millennio, ma non superò la “valanga” Crociate.

    Nella primavera del  1.119, re Ruggero fece arrivare la Santa Croce da Gerusalemme e la fece innalzare su una collinetta per sollevare il morale dell’esercito crociato.
    Soprattutto Baldovino, re di Gerusalemme, praticava il culto della Croce e prima della battaglia la innalzava per mostrarla ai combattenti affinché infondesse in loro coraggio e ardimento.
    In verità, la Chiesa di Gerusalemme non approvava la disinvoltura con cui i vari principi e sovrani esponevano la Sacra Reliquia ai pericoli delle battaglie.
    E ne aveva ben donde.
    Nel 1.187, durante la disastrosa battaglia di Hattin, contro Saladino, la Croce andò perduta e non se ne seppe più nulla.

    Del legno impregnato del sangue di Cristo, dunque, oggi non rimangono che frammenti.

    A CACCIA di RELIQUIE: La VERA LANCIA

    La Santa Lancia

    Magicamente,  tutte le Reliquie che riguardano la Passione del Cristo passano per le Crociate e gli Ordini Cavallereschi  (antecedenti o postumi che siano): così il Sacro Graal, così la Sacra Sindone, così la Santa Croce (la Vera Croce, chiamata dai Crociati, per distinguerla dalle tante copie) e così la Sacra Lancia.
    Sacra Lancia, Lancia di Longino, Lancia del Destino, e molte altre denominazioni ancora, ma era sempre quella: la lancia con cui il centurione romano Longino inferse al Cristo moribondo il colpo di grazia (chiamiamolo così!), squarciandogli il costato.
    Che cosa ne è stato di quella Lancia?
    Forse, è più esatto dire di quelle lance, poiché, mano a mano che i secoli si susseguivano, il loro numero aumentava: Parigi, Vienna, Norimberga, Vaticano, ecc… ne custodivano una, ritenendola quella autentica.
    Oggi, però, ne rimane una soltanto ed è custodita a Vienna.

    Proviamo a seguirne il percorso partendo dall’inizio.
    Venerata come Reliquia, la Lancia che pose fine ai tormenti del Crocifisso, passò di mano in  mano tra i primi cristiani di Gerusalemme, fino ad arrivare nelle mani del comandante di una Legione romana di stanza in Egitto, un certo  Maurizio.
    Di lì a poco, finì in quelle dell’imperatore Costantino e poi, passò  di imperatore in imperatore.
    Passando da Teodosio, arrivò fino a Carlo I, imperatore  di Germania, meglio conosciuto come Carlo Magno, e poi a Federico II.
    Fu proprio Federico II che la fece collocare nella “Stanza del Tesoro”, nel palazzo di Hofburg, a Vienna.
    In tempi più recenti, Hitler, che ne era letteralmente e morbosamente affascinato, ordinò di trasferirla a Norimberga in un nascondiglio sicuro.
    Oggi, però, la si può ammirare a Vienna, dove è ritornata dopo la Seconda Guerra Mondiale.

    Domanda: si tratta della stessa Lancia Santa che da Gerusalemme fu trasportata ad Antiochia intorno all’anno 1000, al tempo delle Crociate?
    Forse no! Molti gli studiosi che ne dubitano: Carlo Magno, infatti, la portò in Germania durante il suo regno, tra gli anni  872-814. 

    Però è interessante dare uno sguardo a questa Lancia, poiché  la sua presenza influì molto sull’andamento delle battaglie e, forse, determinò, perfino, le sorti della Prima Grande Crociata.
    Secondo la tradizione, la Lancia fu portata ad Antiochia poco dopo la morte del Cristo da uno dei suoi discepoli, S. Andrea, durante le sue predicazione.
    Di  essa, però, si erano perse le tracce, ma venne, miracolosamente ritrovata grazie alle “visioni” di un certo Pietro Bartolomeo il quale riferì che il Santo gli era più volte apparso indicandogli il posto esatto dove la Santa Reliquia era sepolta. Disse anche che il Santo aveva assicurato che la sua presenza avrebbe portato l’esercito crociato alla vittoria.
    Sogni, visioni, apparizioni erano cose  piuttosto frequenti all’epoca e si dava loro gran peso. (come stupirsene, se ancora oggi si continua a fare la stessa cosa!)
    Superate le prime reticenze e resistenze del vescovo di Antiochia, (tra i pochi a dubitarne)  una squadra di operai cominciò a scavare nel posto indicato dal buon Bartolomeo e cioè nella cappella orientale della Chiesa, fino a quando la Santa Reliquia non spuntò dal suolo.

    La notizia di una nuova “arma divina” puntata contro di loro,
    preoccupò non poco l’esercito turco che assediava la città: la superstizione è sempre stata l’arma più potente.
    La preoccupazione degli assedianti mutò in sconcerto quando, il mattino del 28 giugno del 1098, le porte della città si spalancarono per lasciar  uscire una processione di gente vestita da parata, ma assolutamente disarmata.
    La guidava un prete che sorreggeva  una vecchia, piccola lancia apparentemente innocua.
    Sconcertati e completamente disorientati, i Turchi lo  erano  gia: sapevano della “divina arma segreta” degli assediati ed un superstizioso terrore li colse a quella vista.
    Un terrore che non li aiutò nel furioso scontro che seguì alla processione. L’esercito crociato, infatti, pur male in arnese, dopo mesi di assedio, infervorato dalla presenza della “Vera Croce”, come amavano chiamarla, ingaggiarono una battaglia senza tregua e riportarono una strepitosa vittoria.
    Chi fu il vincitore di  quella battaglia? Il valore o la superstizione?
    E quella lancia, era proprio la Vera Lancia o si trattava di un espediente per sorprendere l’avversario?

    In verità, sulla sua autenticità si dubitò subito, tanto che il pio Bartolomeo (o forse ingenuo), per tacitare le malelingue, chiese di sottoporsi al “Giudizio del Fuoco”.
    Questa prova consisteva nell’attraversare uno spazio tra due cataste di legna in fiamme e sopra un tappeto di carboni ardenti, uscendone indenni.
    Pietro Bartolomeo affrontò il rogo e passò dall’altra parte.
    Vivo…. due giorni dopo, però, morì a causa della ustioni, lasciando intatti i dubbi degli scettici e la fede dei credenti.
    Non sapremo mai, dunque, se quella lancia fosse la Vera Lancia.
    Sappiamo, però, del suo profondo simbolismo.
    La Lancia Sacra  rappresenta l’aspetto punitivo della Legge di Dio, perché appare come strumento di pena e castigo
    Nel momento stesso in cui penetrava nel costato del Figlio di Dio, essa acquistava misteriosi e straordinari poteri: immortalità, potere sugli altri, ecc..

    Nelle leggende di re Artù, la Sacra Lancia era portata in processione insieme al Sacro Graal (ritrovato da Parsifal, Cavaliere senza macchia) e dalla sua punta scaturiva sangue dagli effetti tremendi.

    Secondo altre tradizioni, la Lancia arrivò a Parigi portata da Luigi IX da Costantinopoli, ma le sue tracce si sono perse durante la Rivoluzione.

    Fra tutte queste Lance Sacre, quale sarà quella autentica?
    Non lo sapremo mai, ma, forse…. la Fede non ha bisogno di Reliquie per il vero credente… che, pure, continuerà a credere in Essa.