L'ETA' PERDUTA

E' un romanzo storico-ecologico in chiave fantasy.

E' la storia di Taur, un ragazzo della Preistoria proiettato nell'era tecnologica.

Due civiltà a confronto in un crescendo di avventure, scoperte e suspence: quella dell'homo sapiens sapiens  e quella dell'homo tecnologicus.

 

 
Una leggera instabilità sotto i piedi, un leggero sussulto. La terra tremava,  ma nessuno parve farci caso: aria di festa, brindisi al campo "Polaris 2", nel grande capannone del Padiglione B dell'Osservatorio Scientifico, sull'Isola degli Orsi, dove i componenti della spedizione italiana erano riuniti per festeggiare i ventiquattro anni della dottoressa Liliana Pace.
La spedizione stazionava sull'isola da tre settimane per condurre un programma di ricerche e studi sui Mari Glaciali e sulle risorse idriche del pianeta.
Protagonista eccellente di tutte le Ere Geologiche, il continente Artico offriva ottimo materiale di studio sulla resistenza e l'adattamento dell'organismo umano sollecitato da condizioni ambientali sfavorevoli.
La dotteressa Liliana non era nuova a  quel genere di esperienze e la sua presenza dava un tocco di "charme e politesse",  come amava dire il professor Simone Bosio, capo della spedizione e perciò era gradita a tutti i colleghi, scienziati di prim'ordine, ma anche giovani di belle speranze ed appena laureati, come Dario Scanu e Franco Garino.
Geologi e Ricercatori Geo-fisici, ragazzi esuberanti e pieni di entusiasmo, Franco e Dario erano alla loro prima esperienza polare, ma già innamorati di quelle lande sterminate, immacolate ed inospitali, capaci di donare all'uomo sogni arditi.
Proprio al Polo Nord, dopo che l'intervento dell'uomo sulla Natura, dissennato e scriteriato, aveva fatto dei ghiacci l'ultima riserva d'acqua dolce, si conducevano ricerche per lo sfruttamento delle masse ghiacciate.

"Pum..." un tappo di spumante volò per aria portandosi dietro gridolini compiaciuti e festosi; la ragazza tese il bicchiere verso la bottiglia da cui sgorgava, come da un cratere, bionda e cremosa spuma.
Liliana era un giunco morbido e flessuoso nella tuta color tabacco: un fisico da modella più che da esploratrice; un fisico sorprendentemente adattato a quel nuovo ritmo di vita  che non aveva più la notte che segue il giorno, ma un giorno ininterrotto di luce continua.
Soprattutto nei primi giorni, per quello che doveva essere il riposo notturno capitava di decidere soltanto in base alla stanchezza; l'entusiamo finiva sempre per travolgere le ore e senza accorgersene, il giorno diventava di veniquattro ore e deliberatamente si ingorava l'orologio, ma poi si finiva per dormire per venti ore filate.
"Tanti auguri, Liliana!  -    la porta della baracca si spalancò ed un uomo apparve nel vano seguito da un altro che se la tirò dietro lasciando fuori la voce del Polo: un gelido sibilo che sarebbe diventato mugghio travolgente non appena la "primavera" si fosse allontanata -  Brrrr... Che freddo!" esclamò.
"Aspettavamo voi due per tagliare la torta  e quei due scavezzacollo di Dario e Franco." sorrise Liliana da dietro il lungo tavolo su cui posavano torte, bottiglie e bicchieri.
"Auguri, tesoro. Abbiamo un regalo per te." i due si fecero avanti.
Erano il dottor Simone e un tecnico, che reggeva in mano un scatola infiocchettata.
Liliana aggirò il tavolo e fece qualche passo incontro ai due, permettendo ad uno spericolato Indiana Jones, dal poster affisso sulla parete alle sue spalle, di calarsi nel cratere del vulcano; posters e gigantografie non mancavano in quel capannone: era necessario per una buona salute psichica riprodurre il più fedelmente possibile un ambiente simile a quello lasciato a casa.
Alta, slanciata, Liliana si muoveva con grazia, residuo di un lontano passato di allieva di danza classica; i lunghi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle, uno sguardo ridente, il sorriso accattivante, il viso fedele ai canoni della bellezza mediterranea, facevano di lei un "tipo".
Simone riempì due bicchieri e ne orse uno alla ragazza.

La temperatura in quel momento della stagione non era troppo bassa, sfiorava i quindici gradi sotto zero, ma fra poco sarebbe scesa a meno cinquanta e lavorare fuori delle baracche di legno riscaldate con stufe a cherosene, non sarebbe più stato possibile.
L'interno delle baracche non era dissimile da qualunque altro laboratorio: tavoli, sedie, strumenti di misurazione e rilievo, casse ed attrezzi; la sola  differenza con gli altri laboratori erano le stufe, la cui pericolosità richiedeva cautela e precauzione, ma non c'era altra maniera per riscaldare.
Simone avanzò nella stanza; la tuta in tessuto speciale, in dotazione a tutti i membri della spedizione, metteva in risalto il fisico atletico. Trentaquattro o trentacinque anni, aveva alle spalle una solida esperienza di richerche e studi, misurazioni e rilevazioni delle mase ghiacciate. Era stato inviato a condurre richerche nell'Artico dal Comitato Geologico Italiano per il quale aveva già portato a termine una rilevazione sull'avanzamento  e l'arretramento delle masse gliacializzate alpine.
"Che cosa c'é in quel pacchetto?" la ragazza tese le braccia.
"Prima la torta." sorrise Simone, scoprendo il capo e mettendo in mostra i capelli scomposti; non si riusciva a capire quanto sangue gallese fosse misto nelle sue vene a quello italiano: sua madre era originaria del Galles meridionale e i capelli erano di un vivido biondo, ma gli occhi, neri e penetranti, erano tipicamente mediterranei.
"Avanti! Avanti, la torta!" un coro di voci impazienti si levò d'intorno, seguito da una nuova, leggera, instabilità sotto i piedi.
La terra tremò ancora, la lampada a kerosene appesa al soffitto oscillò, i bicchieri tintinnarono  e l'Indiana Jones cominciò a scendere e salire da cratere.
"Questa è decisamente più forte! - dsse Liliana - A questo ritmo si creeranno presto fratture nel ghiaccio."
"Ne ho contate quattro. - precisò  Simone -Quattro scosse e la seconda mi è parsa particolarmente violenta."
"Usciamo fuori. - propose la ragazza - Il terremoto può aver provocato una spaccatura nella crosta ghiacciata."

Uscirono fuori ed affondarono il naso nell'aria gelida. Raggiungeva subito il cervello attraverso le narici, ma bastava respirare lentamente e ci si abituava.
Lo scenario della Baia degli Orsi  era straordinario. Appariva come una fantasmagorica città di ghiaccio. Palazzi e grattacieli erano pezzi  di ghiaccio affioranti dalla superficie; strade e viuzze erano i canali che la intersecavano: una metropoli bianca e fantastica, opera di architetto eccellente. Una città  in continua mutazione. A ritmo costante. Perché costante era la formazione dei nuovi iceberg, favoriti dall'azione dei venti, delle onde, delle maree, delle precipitazioni: quei palazzi di ghiaccio andavano a sostituire quelli che si scioglievano, così come nelle città, quelli di cemento sostituivano i vecchi e disintegrati palazzi.
Il  bianco era accecante, ma cangiava in un azzurro profondo, dopo aver visitato un verde cupo e un blu intenso. Poteva sembrare, in un primo momento, un gioco ottico. In realtà quelli erano davvero i colori degli iceberg: non solo bianchi immacolati, ma macchiati di colori straordinari: le particelle rocciose all'interno del ghiaccio trasparente.

"Ehi, Simone.. Simone! - qualcuno da lontano agitava le braccia per attirare l'attenzione del giovane; era Dario, in compagnia di Francesco, di ritorno da una ricongnizione a piedi -  Avete sentito le scosse?"
Le parole del ragazzo rotolavano sulla neve assieme al respiro caldo che usciva dalla bocca come da una piccola ciminiera  ed andava a formare nuvolette trasparenti. L'aria era molto fredda e le nuvolette restavano in sospensione prima di sollevarsi e disperdersi come bolle di sapone.
"Come no!  Nemmeno un'ora fa." rispose Simone.
"Un enorme iceberg! - il ragazzo sollevò le braccia, si tolse gli occhiali ne stropicciò gli occhi; eccitati bagliori attraversarono i begli occhi verdi dal taglio straniero, che avevano fatto di lui l'idolo delle ragazze al tempo del Liceo - Lo abbiamo visto solevarsi dalla superficie... Dillo anche tu, Franco."
Si girò verso l'amico che, in tuta verde e rossa, avanzava spedito sui grossi scarponi protetti da una specie di pattino per far presa sulla sueprficie ghiacciata.
"Sì!- interloquì Franco, eccitato quanto lui, accompagnando le parole con ampi gesti delle braccia, retaggio di gestualità infantile non del tutto abbandonata - Alto quasi settanta metri. .. Gigantesco."
"Dove?"  domandò Simone.
"Non lontano da qui. - Franco si girò ed indicò l'orizzonte immacolato alle sue spalle; il bel volto, che da poco aveva conosciuto l'uso del rasoio, si accese di una vivissima luce - C'é stata una scossa seguita da un sibilo acuto, come  se le acque ribollissero sotto il ghiaccio, poi la superficie si è spaccata e sollevata con gran fragore."
"E' così! - interloquì Dario - C'è stato un fragore, poi lo scrigghiolio del ghiaccio che si frantumava e sono emersi numerosi blocchi e poi... poi uno di quei blocchi si è sollevato ... come per girarsi..."  spiegò.
"...  ma sollevato di decine  di metri. - puntualizzò l'altro - Quando è ricaduto c'è stato un gran rumore, acqua che schizzava da ogni parte, pezzi di ghiaccio che volavano come proiettili... insomma un gran baccano. Che spettacolo, ragazzi!...Che spettacolo!"

S'incamminarono procedendo con autela; l'ultima precipitazione di neve aveva reso più sdrucciolevole la superficie; procedere era faticoso ed insidioso. Quasi nessuno aveva pattini agli scarponi e la marcia durò più del previsto, ma infine raggiunsero il posto.
Solamente acqua e ghiacci in quel posto ai confine del mondo e un cielo dalla limpidezza sconosciuta ad altre latitudini del pianeta e qualcuno dei suoi formidabili abitatori: un tricheco che si godeva il sole sdraiato su un terrazzo di ghiaccio con due cuccioli che giocavano sull sponda dello stesso; molto più lontano una famigliola di orsi si trastullava e pareva non fare molto caso agli intrusi: la presenza umana fino a ieri era rappresentata unicamente da esploratori ed avventurosi, scienziati e ricercatori.
Alcuni villaggi, però, di nazionalità russa e norvegese, di antica tradizione e cultura,  rendeva  la Grande Valle Bianca  non propriamente disabitata.
"Accipicchia quanto è alto!"  osservò qualcuno, appena giunti sul posto.
"Non meno di settanta metri. - precisò Simone, poi spiegò - Il che vuol dire che può essersi staccato anche ad una profondità superiore ai settecento metri."
L'iceberg era colossale e si stagliava contro un cielo terso, totalmente bianco. Per questo, forse, tutti notarono due grosse striature scure, in basso.
"Che cos'é quella macchia scura?" domandò Liliana.
"A me pare un pennone... forse un albero - azzardò Franco - L'albero di una barca."
"L'albero di una barca?... Qui, in un iceberg? - sorrise Simone -Vuoi scherzare, ragazzo?"
"Se non è un albero, sarà un'altra cosa. Ma qualcosa è!" replicò Franco.
"Franco ha ragione! - Liliana fece qualche passo in avanti - Non si tratta di una venartura  nel fianco dell'iceberg. - osservò - C'é davvero quacosa imprigionata là dentro."
"Accidenti!... Ma che cosa sarà?"
"Qualunque cosa sia..."
Si convinsero tutti che il ghiaccio custodisse qualcosa e chissà da quanto tempo.
Ansia e frenesia prese tutti.
"Un gommone. Presto!" sollecitò Simone.
Un gommone e qualche pala e raggiunsero l'iceberg. C'erano molte insidie: numerose stalagmiti  che costrinsero il gommone ad un giri viziosi.
La superficie dell'iceberg era sfaccettata ed irregolare: sporgenze, pianerottoli e squarci.
Il primo a raggiungerla fu Dario, che saltò sopra con un gesto acrobatico; Dario era un ottimo atleta e praticava vari sport.
"E' proprio un albero! - disse, cominciando  a saltellare, incurante  del rischio  di finire in acqua - E' proprio un albero ed è imprigionato nel ghiaccio!"
"Non è possibile! Non ci sono alberi da queste parti." replicò Liliana; era rimasta a terra con gli altri. Solo Dario, Franco e quelli che erano andati alla ricerca del gommone erano saliti sul iceberg, provvisti delle speciali tute che in caso di caduta in acqua avrebbero protetto da un bagno a parecchi gradi sotto zero.
"La corrente l'avrà trasportato qui." disse il ragazzo.
"Forse. - il tono della ragaza, però, non era del tutto convinto - Potrebbe essere un albero di ere glaciali caduto in acqua..."
"No! - la interruppe il ragazzo con voce eccitatissima  - Si tratta di un pennone... un pennone... Capite? E di epoca assolutamente remota nel tempo."
"Un pennone!" fecero tutti in coro.
"Un pennone!... Questo ghiaccio custodisce una imbarcazione d'epoca antichissima!"
 


Una gran frenesia scese sul campo, un gran fermento. Si lavorava con tutti i mezzi a disposizione: vanghe, pale, strumenti elettronici ed altro. Qualunque oggetto era buono per rompere, spezzare, scalfire, spaccare il ghiaccio; perfino le mani protette dai guanti speciali e gli scarponi dai grossi chiodi. Parlavano tutti insieme, concitatamente e confusamente, ma zittivano appena sentivano il ghiaccio scricchiolare.
Ciò che stava venendo lentamente alla luce sotto l'ininterrotto o quasi, giorno polare,  si era alla fine della primavera e prossimi all'estate, restituito da una tenace prigionia,  era qualcosa che assomigliava davvero ad un rudimentale pennone: uno svelto tronco d'albero a cui era stata attaccata una vela, composta di due o tre pelli di renna, mai vista prima.
"Sarà una barca vichinga?" domandò qualcuno, ma Liliana rispose.
"Non credo. I vichinghi non avevano vele così primitive."
Il ghiaccio scricchiolò rumoroso e si mise sul fianco; Liliana fece cenno all'uomo che lavorava al suo fianco.
"Un'incrinatura nel fianco. - l'avvertì - Sta per spaccarsi. Attenti!... Attenti o finiremo tutti in acqua."
Il blocco  vibrava vistosamente sotto i colpi di piccone ma soprattutto ad opera della sega elettrica e una crepa, dopo un sordo brontolio, si produsse sotto i piedi della donna, costringendola a divaricare le gambe; qualcuno le tese un badile e lei visi aggrappò e saltò sull'altra parte della massa ancora attaccata al blocco.
Prodotto lo strappo, il banco si mise sul fianco con gran frastuono;  grossi spruzzi d'acqua gelata andarono a rovesciarsi  addosso a quanti erano più vicini, poi,  lentamente il blocco  si allontanò, lasciandosi dietro una larga scia spumosa.
Restarono a guardarlo, riuscendo ad evitare disastrose cadute in acqua gelida e il pericolo delle schegge vaganti ma anche il rischio di venire inabissati o trasportati via dal rovesciamento laterale del banco.
L'emozione che seguì, lo spettacolo che quel pezzo di ghiaccio procurò aprendosi, fu indescrivibile: una primitiva imbarcazione lunga non meno di tre metri e con quelle caratteristiche che, per diversi millenni avrebbe dominato la navigazione nel Mediterraneo e nei Mari Medio-Orientali venne alla luce: un ricurvo fasciame di tavole che posava sopra un lungo tronco, una rozza, ma robusta chiglia.
"Ma questa... che cos'é questa?... Una piroga?" domandò Dario.
"Per tutte le Galassie! - esclamò Franco - Sembra una di quelle piroghe che usano ancora oggi i Polinesiani."
Erano entrambi alti, Franco e Dario. Franco pareva slanciarsi di qualche centimetro; forse era più alto o forse era il taglio a spazzola dei capelli. Due occhi di un azzurro intenso, in netto contrasto con la pelle abbronzata, capelli neri, caratteristiche ereditate dalla bellissima madre, Franco guardava stupefatto l'imbarcazione antica.
"Polinesiani al Polo Nord? - interloquì Liliana in tono serio - Si tratta di qualcosa di assai più lontano nel tempo."
"Una barca vichinga?" insisté Dario.
"Molto anteriore anche alle barche vichinghe. Guardatela bene... Assomiglia a quella  rinvenuta nel lago di Bertignano."
"Ma quella barca risale a quattromila anni fa." fece osservare Dario.
"GiA!... - interloquì Simone -E questa barca risale alla preistoria e il ghiaccio l'ha conservata intatta."
"Accidenti! Sembra pronta a prendere il mare." esclamò Franco.
"Lo è!...  Il ghiaccio l'ha preservata dall'attacco delle correnti  per lunghissimo tempo...   Millenni, forse..."
"Com'é possibile? Il ghiaccio si sarebbe già sciolto... I ghiacciai, richiamati dall'attrazione di gravità,  scendono verso il mare dove danno origine agli iceberg."  obiettò qualcuno, ma Dario, chino  su quella che doveva essere proprio la prora di una barca:
"Questa legge fisica vale per il ghiaccio in superficie - replicò - ... ma quello vecchio?"
"Quanto vecchio!" obiettò l'altro.
"Esiste un limite per le nevi perenni che unisce tutti i punti in cui vi è equilibrio tra precipitazione nevosa e neve fusa, per effetto del quale la neve vecchia si comprime  dando origine ai ghiacciai..."
"Ma..."  l'altro tentò di prendere la parola, ma il ragazzo non lo ladciò finire.
"Potrebbe essere accaduto che la barca incagliata tra rocce sia poi rimasta imprigionata dai ghiacci... forse un terremoto o qualcosa di simile."
"Potrebbe essere, anche se è una possibilità assai remota. - replicò Franco -Certo è che appena questo iceberg avesse preso ad avanzare, sarebbe stato aggredito da venti e correnti e sarebbe giunto in qualche fiordo o in mare aperto."
"Forse non sarebbe stata nemmeno più ritrovata! ma vi rendete conto? - s'infervorò Dario - Questa primitiva imbarcazione non è stata ritrovata nei pressi di un insediamento umano, ma qui al  Polo!... E' fantastico e misterioso! Non vi pare, gente?"
"Certo che lo è! - assentì Liliana - Una cosa, però non capisco.  Ah.ah.ah... - rise - Veramente le cose che non capisco sono tante... Com'é   che questo iceberg non ha abbandonato prima la massa ghiacciata di cui faceva parte? L'equilibrio fra la neve fusa, come dice Dario, e quella ammassata..."
Franco la interruppe:
"Non è facile capire il meccanismo che provoca la rottura delle masse ghiacciate. - spiegò - Anche perché sono moltissime: frequenza, forza di gravità... soprattutto qui al Nord... Nell'Antartide i ghiacciai si sviluppano verso l'alto... Personalmente penso che questo iceberg si sia distaccato dal ghiaccio ai margini della scogliera e probabilmente a causa della forza di gravità."
"Certo! Ma ciò non risponde alla mia domanda." replicò l'altro.
"Il tempo! - interloquì Liliana - Condivido la teoria di Dario. La barca deve essersi incagliata e il ghiaccio deve averla coperta. Probabilmente a quell'epoca la roccia era ancora emersa e... a proposito di tempo, dobbiamo fare presto a rimuoverla e portarla via, prima che si sposti il centro di galleggiamento."
"Rimuoverla non sarà facile. Potremmo danneggiarla."
"Sarebbe meglio interessare organi competenti." rispose il ragazzo.
"Comitato Geologico  Italiano o Norvegese?" replicò la dottoressa.
"Che cosa possiamo fare, allora?"
"Non possiamo farci carico di responsabilità che non ci competono - disse Simone - però... "
Qualcuno, però, provvide a rompere gli indugi: Franco, che aveva raggiunto la punta estrema della barca e tendeva una mano verso la prora.
"Qui c'è una fune stranamente intrecciata."gridò.
Si spostarono tutti verso la prora della barca dove c'era davvero una fune di canapa intrecciata con striscioline di pelli; era legata ad una estremità della barca e si perdeva detro il ghiaccio. Cercarono di tirarla, ma quella opponeva discreta resistenza.
"Non tirate.- suggerì Liliana -Potrebbe spezzarsi."
"Che cosa può esserci dall'altro capo della corda? - esclamò Franco, poi suggerì - E' meglio aspettare la Squadra C. A quest'ora sarà già arrivata."

La Squadra, che operava un po' più a nord, si  occupava del taglio dei blocchi di ghiaccio selezionati e del loro trasporto attraverso il mare fino a destinazione. Il procedimento, piuttosto semplice, consisteva nell'avvolgere l'iceberg in fogli di polithene, allo scopo di rallentarne il processo di fusione  e legarlo ad una nave.
"Accidenti di un accidentaccio cane!" Dario, che stava esaminando  l'interno della barca, sollevò al cielo uno sguardo sconvolto.
Dario non era davvero un tipo impressionabile;  si faceva sempre guidare, nelle cose e nelle situazioni, da un robusto raziocinio. Ciò che aveva visto, però,  nascosto sotto un mcchio di pelli, era cosa da sconvolgere la mente meno ricettiva: rannicchiati sul fondo della barca , come nell'abbandono del sonno,  giacevano tre corpi  umani.
Vestivano di pelli, pellicce e tessuti assai grezzi; in testa  portavano copricapo molto simili a cappucci;  dai piedi alle gambe, fino alle ginocchia, avevano una specie di stivale costituito da un pezzo di pelliccia ben stretto da striscioline di pelle. I corpi si indovinavano  robusti e prestanti, ma i volti, completamente nascosti dalle braccia, non si potevano vedere.
"Uomini... Qui ci sono degli uomini!" urlò.
"Uomini?... - Franco lo raggiunse di corsa, si chinò anch'egli sul fondo della barca ed anche a lui l'emozione l'emozione parve bloccare per un attimo perfino quello la facoltà di pensare -Per tutte le Galassie!.. Uomini! E non sembrano appartenere al nostro tempo."
I bel volto dai tratti gentili e fini e dall'aria disincantata dello studioso  assunse un'espressione di stupefatta inquietudine. Franco era una persona poco incline a prestare attenzione alla banalità delle cose; preferiva spender tempo ed energie per cose speciali, come tuffarsi in buchi e stelle nane. Eppure, di fronte a quello spettacolo si sentì completamente catturato.

Raggiunsero tutti la barca e Liliana si sporse sulla destra agitando un braccio in direzione di un natante che era comparso tra  le spaccature della banchisa e che avanzava facendo attenzione alle insidie nascoste o affioranti dall'acqua.
Erano quelli della Squadra C con gli strumenti necessari; uno di loro chiese:
"Che cosa c'é? Avete trovato qualcosa là dentro?"
"Uomini  preistorici imprigionati sul fondo della barca." rispose Dario.
"Che diavolo stai dicendo? Vuoi prendermi in giro?"
"Guarda tu stesso."
Dario sollevò la coperta ghiacciata e le pupille dell'uomo strabuzzarono nelle orbite.
"Per la coda di Satanasso!"
Seguì un lungo silenzio durante il quale si sentiva solo l'affanno di increduli respiri: ognuno esultava n cuor proprio, consapevole di essere testimone di un grande evento.
Una voce alle spalle:
"Saranno morti?"
"E come vuoi che siano?" rispose in tono mordace Dario.
"Beh!... Sai!"
"Cooosa!..." fece sarcastico Dario e l'altro, senza scomporsi:
"Ibernazione!" disse.
"Non dire fesserie. Quelle sono cose che si vedono solo al cinema."
"Beh! - interloquì la dottoressa Liliana - Il ghiaccio conserva inalterate le sostanze organiche. Pensate al mammuth rinvenuto in Siberia... completamente intatto e con nello stomaco perfino il cibo non digerito..."
"Crede che questi uomini siano vivi?" replicò l'altro.
"Oh, no! -sorrise Liliana -Non ho detto questo. Ho dette solamente che il freddo ne ha conservato intatti i corpi, non la  vita! Attenti!... Attenti! - gridò poi, all'indirizzo di quelli che, staccata la piroga dalla corda, la stavano posando sul lastrone di ghiaccio - Fate attenzione!"
"Come possono essere finiti qui? - domandò Dario -  Queste armi, qui, nel fondo della barca sono armi di pietra... pietra levigata. Vuol dire che questi uomini appartengono al Neolitico... Se davvero è così,  questa è la più scoperta paleontologica di tutti i tempi."
"Legato a quella corda potrebbe esserci un pesce preistorico - ipotizzò Franco, poi,osservando gli sguardi scettici degli altri -Perché no?  Lì sotto c'é sicuramente qualcosa. E perché non un pesce?"
"Mi riesce difficile - replicò Liliana scuotendo il capo - credere che degli uomini preistorici si siano spinti fin qui con una imbarcazione così leggera."
"I Vichinghi lo fecero." disse uno dei nuovi arrivati.
"Molto più tardi e con navi bene attrezzate. - replicò Liliana - Con questa piroga non è possibile.!
"Eppure, eccola qui!" proruppe Franco.
"Scopriremo questo mistero!" sorrise Liliana e restò a  guardare  il gommone che si allontanava trascinando il prezioso carico e l'involucro che per tanto tempo lo aveva custodito.


Candida conghiglia non più in grado di proteggere la preziosa perla, il ghiaccio si aprì mostrando il rostro di una seconda imbarcazione identica alla precedente, lunga quasi cinque metri. Sul fondo giacevano i corpi di tre uomini e di un cane; forse un lupo.
Non erano coperti di pelli come gli occupanti dell'altra barca e parevano essere stati colti di sorpresa, perché erano rannicchiati al centro della barca; solo il cane, un po' più discosto, sembrava pronto a lanciarsi in avanti.
"Forse sono cacciatori. - ipotizzò Dario, incurante dell'incrinatura che gli spezzava la voce;  un mutismo generale era sceso tra i ghiacci - Forse stavano cacciando con questo cane... o lupo che sia."
"Sembra un cane ed è un magnifico esemplare." anche Liliana si era chinata sull'animale.
Rossiccio, il pelo come quello di un lupo, anche il muso allungato e le orecchie appuntite sembravano quelle di un lupo più che di un cane: probabilmente si trattava di un incrocio.
"Sembra addormentato. - Dario gli sfiorò il capo; guardando quelle ciglia lunghe, serrate nel riposo millenario, provò un inquieto malessere. Una vertigine  - Sembra vivo. -  mormorò; le ciglia parevano muoversi e vibrare - Santo Cielo!... Ma questo cane è vivo!"  esclamò.
"Vivo? Stai scherzando? - interloquì Simone alle sue spalle - Vivo!... Ci stiamo lasciando prendere la mano dalla fantasia!"
"Ha aperto gli occhi. - insistette il ragazzo - Vi dico che è vivo!"
"Non dire schiocchezze! - anche Franco allungò una mano verso il preistorico animale - Come potrebbe essere vivo? Non vedi com'é rigido e gelato?"
"L'ho visto, ti dico." continuò ad insistere Dario e Franco, allungando una mano:
"Ma se sembra un ghiacciolo. - osservò, accarezzando quella che sembrava una splendida statua di cristallo - Chissà da quanti secoli è prigioniero qui!"

Intanto qul ghiaccio cominciava a sciogliersi in fresche, rilucenti goccioline, ma Dario non  aveva intenzione di darsi per vinto; non era un visionario, lui,  ed aveva visto perfettamente le ciglia del cane sollevarsi e richiudersi... in verità, gli era anche parso di avergli visto gonfiare il petto... impercettibilmente... Certo, a riflettere sulla cosa... non era possibile, no, che il cane fosse vivo.
Sorrise di sé e della propria ostinazione... Eppure sapeva di potersi fidare  del proprio   equilibrio emotivo... le sirti insidiose dell'immaginazione non erano mai riuscite a confondere il suo raziocinio. E neppure stava facendosi suggestionare, come diceva Simone... forse... forse una sensazione dettata dall'emozione,  che non gli aveva dato il tempo necessario per...Ma no!... Non era così!... Il cane aveva aperto nuovamente gli occhi.
"No! No!... Accidenti! - urlò con tutto il fiato - L'ho visto ancora. L'ho visto!... Ha sbattuto le palpebre..." e di nuovo la sua mano cercò il pelo raccolto in fasci e sterpi gelati.
"Stai sognando...Ah.ah.ah! - rise Franco - Tutto questo ha eccitato la tua fantasia di boy-scout, lupetto... Devi aver sognato e... Nooooo! - e un urlo uscì anche dalla gola di Franco - Questo cane è davvero vivo."
Il cane aveva mosso ancora le palpebre e d'intorno non fu che un grido:
"Questo cane è vivo!"
Da lotano, due  orsi correvano tra i ghiacci  saltellando da un banco all'altro; erano appena comparsi da dietro un masso e stavano scuotendosi di dosso un lieve manto di neve gelata. Perfettametne mimetizzti con l'ambiente, non era facile seguirne le acrobatiche evoluzioni.
"Ed ora... che cosa facciamo?" Liliana e Simone si scambiarono un'occhiata.
"Rimuoverlo con molta precauzione.- suggerì Dario  -Il ghiaccio si sta sciogliendo."
"Già!... Bisogna trasportarlo subito al campo."
"Ma come possiamo soccorrerlo? - interloquì Franco - Nessuno di noi è in grado di farlo."
"Chiederemo istruzioni via radio.- rispose Simone - Bisognerà aspettare i ragazzi del gommone... ma perché ritardano tanto? Dovrebbero essere già qui e..."
L'esclamazione soffocata proveniente  da poppa della barca e la scomposta agitazione di uno dei tecnici che cercava di attirare l'attenzione degli altri, interruppe il ragazzo.
"E' vivo! - stava urlando - Questo ragazzo è vivo!" e la gelata atmosfera si elettrizzò.
Si incendiò.
Si precipitarono tutti nella stessa direzione e tutti scompostamente si chinarono a guardare sul fondo della barca il ragazzo che vi giaceva accocolato assieme agli altri.
Era molto giovane. Quindici o sedici anni. Vestiva anch'egli con pelli e pellicce; strisce di cuoio stringevano attorno alle gambe ed ai piedi un pezzo di pelliccia a mò di stivale. Le mani erano protette da guanti e il capo da un cappuccio; una ciocca spuntò da sotto il copricapo, bionda, come le sopracciglia e le ciglia.
Simone gli toccò il capo, gli sollevò leggermente il mento e il contatto produsse un lievissimo scricchiolio.
"E' completamente gelato." osservò.
"Vi dico che ha mosso un braccio ed ha scricchiolato." insisteva l'altro.
"Non è Possibile! Guardatelo... Sembra dormire!"
Sembrava davvero addormentato: gli occhi chiusi e le ciglia serrate, il volto adolescente , bruno per esposizione al sole e una manciata di efelidi. Il naso appuntito divideva due occhi ben distanziati e dal taglio occidentale, che due folte sopracciglia di un biondo scuro separavano da una fronte spaziosa. La mascella era nascosta dai lembi del cappuccio che venivano ad annodarsi sul mento.
Il sembiante era gentile, ma l'espressione dell'anima, stampata su quel bel volto adolescente da chissà quanti secoli, era di sorpresa e sgomento. Di antica inquietudine.
La stessa che, d'un tratto, si insinuò nell'animo di ognuno dei presenti.
Ancora il miracolo; ancora uno scricchiolio.
"E' proprio vero!... Questo ragazzo è vivo!"
Quelle che seguirono furono parole rotte, smozzicate; i respiri affannosi e congestionati: quel miracolo sgomentava gli animi con domande senza risposte.
"Che cosa... che cosa possiamo fare?  Potrebbe morire..." avanzò la voce preoccupata di Dario.
"Non lo lasceremo morire! - la voce solenne e grave di Simonase  -Una barella... Presto!   Ed una anche per ilcane. Abbiamo il dovere di salvare queste straordinarie creature."

Furono approntate due barelle ed una terza per gli altri compagni meno fortunati di quel viaggio incredibile nel tempo. Con precauzione sollevarono i corpi irrigiditi dal ghiaccio e dalla morte; il gommone stava sopraggiungendo, comparendo alla destra di un pinnacolo emergente dall'acqua.
Poco dopo raggiunsero il campo base dove cercarono via radio di comunicare con Oslo.
S'era, però, alzato un vento violentissimo che impediva a qualsiasi mezzo di avvicinarsi all'isola e così, dopo un breve consulto, Simone, assistito da Liliana e dagli altri, si occupò dei due sppravvissuti.


Nella camera isolata e sterilizzata. allestita per accogliere i due viaggiatori del tempo  sistemati sotto tende di nylon trasparenti per consentire un graduale scongelamento ed un approdo, il più gradevole possibile, da un passato remoto,  ebbe inizio un'eccitata attesa.  Una sinfonia di indicibili emozioni, un concerto di sensazioni, quel lieve tonfo, monotono e lento, di gocce che toccavano il pavimento:  il ghiaccio antico che liberava l'acqua.
Non potevano far altro che attendere e finalmente un primo leggero, quasi impercettibile guaito: il cane si scosse per primo il lungo tempo di dosso.
"Si è svegliato." esordì Dario, che da due ore ne spiava il respiro assieme al professor Alberto.
"Come sta?"
Liliana si girò senza lasciare l'altra tenda dove era con Simone e Franco.
"Respira a fatica. -  rispose il professore a bassa voce, per  non spaventare l'animale -E' molto debole."
"E' un animale bellissimo! -  anche  Dario parlava a bassa voce - Forse è un incrocio fra un lupo e un cane o, forse, questo cane è nato già amico dell'uomo ed è cresciuto al suo fianco."
Il pelo era fulvo e bruno, morbido e lucido e il muso allungato.
"Scolpito da mano eccellente. - si sorprese a pensare e sorrise del proprio pensiero ed allungò una mano per accarezzarlo - E' bellissimo! - ripetè - Forse è un cane da caccia."
"Da caccia, da guardia, da difesa! - sorrise il professore - A quell'epoca non esistevano certe sottigliezze.  Il cane era tutto per l'uomo e l'uomo era tutto per il cane,"
"Ma quale epoca?" domandò il ragazzo?
"Tremila o quattromila anni fa."
"Forse anche di più! - il professore sorrise ancora, poi riprese - Le armi, gli indumenti, la barca... tutto ci dice che si tratta dell'ultimo Neolitico... e guarda... guarda... - esclamò con voce eccitata - Guarda. Ha aperto gli occhi... Guarda... Sta muovendo il capo."

Il cane aveva aperto gli occhi; uno sguardo dal colore indefinibile. Nocciola, forse, verde o anche grigio. Dolce ed annebbiato. Li richiuse subito. Pareva molto assonnato.
"I suoi occhi sono dolcissimi! - esclamò Dario con voce rotta, poi in tono scherzoso - Assomigliano ai tuoi, Franco... solo che i suoi sembrano più vivaci ed intelligenti. Ah.ah.ah.. - rise - Avrà un nome?"
Anche franco rise e si avvicinò.
"Perché non gliene diamo uno noi? - disse, poi, indicando la tenda - Questa non serve più. - aggiunse cercando lo sguardo del professore che fece segno di rmuoverla, mentre si toglieva la mascherina e lo invitava a fare altrettanto - Pel di Rame. Che dici, Liliana?" domandò.
"E' un bel nome, ma io proporrei qualcosa di più adatto a lui. - disse Liliana avvicinandosi anche lei - Che ne dite di Neolitico?"
"Neolitico?... Ma è un nome stupendo!" esclamò Franco tendendo una mano verso l'animale venuto da lontano: gli parve che fremessero sotto il mantello fulvo ed  fece scivolare la carezza verso le spalle e il collo, fino alla testa.
Le orecchie  si rizzarono; il cane riaprì gli occhi. Le pupille incontrarono quelle del ragazzo e il corpo si mosse e parve  che, insieme alle gocce che colavano fitte verso terra, volesse scuotersi di dosso anche il tenpo ivi attaccato.
Franco provò un brivido. Qualcosa di intraducibile: un anello invisibile aveva accorciato la millenaria distanza fra due creature.
"E' straordinario!" sussurrò.
Liliana si affacciò all'imbocco dell'altra tenda per richiamare la'attenzione di tutti: il ragazzo stava svegliandosi.
Accorsero tutti; al capezzale del cane rimase solo il professore che suggerì di rimuovere anche l'altra tenda, cosa che venne presto fatta e un attimo dopo una piccola folla circondava il tavolo su cui era steso il ragazzo, ancora prigioniero di quel miracoloso processo naturale che per secoli lo aveva tenuto in vita.

Il suo volto bellissimo custodiva emozioni antiche; Liliana nello sfiorargli la fronte , immota nel lungo riposo, ebbe l'impressione di avvertire un fremito inquieto.
"Respira. - disse, mettendogli davanti alle labbra uno specchietto che lo confermò, poi gli toccò il petto e stette a guardare la coperta che aveva preso a sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente e ad un ritmo serrato, quasi frenetico e andava aumentando, come se il ragazzo fosse in preda a convulsioni . -    Un respiratore... Presto! Datemi un respiratore."  disse.
Gli applicarono il respiratore e il ritmo cominciò pian piano a diminuire di intensità,  a  rallentare; ancora qualche scossa irregolare, poi il respiro si fece stabile.
"Diamo un nome anche a lui." propose Franco.
"Figlio del Gelo!" suggerì Dario.
"Ehi! - esclamò Simone -Il Figlio del Gelo si sta svegliando. Apre gli occhi... Teniamoci  discosti... Non è un cane, lui!"
Così fecero; l'animo pronto a caricarsi di nuove emozioni.

Il Figlio del Gelo si riaffacciò alla vita. Cominciò col muovere le labbra, sbattere le ciglia  ed aprire gli occhi: due occhi di un incredibile azzurro, ma inespressivi ed annebbiati. Li richiuse subito, come aveva fatto il cane, ma li riaprì.
C'era sul suo volto il fascino inquieto dell'immortalità e l'immobile fissità del tempo eterno, ma gli occhi parvero avvampare della turbolenza di sconosciute emozioni mentre si muovevano veloci d'intorno, roteando nelle orbite e come inseguendo misteriose visioni.
"Pensate che stia provando qualcosa  in questo momento? - Franco non poteva immaginare quali potessero essere le emozioni del viaggiatore del tempo... ammesso che ne avesse - Credete che stia sognando o... inseguendo qualche immagine..."
Voler capire cosa fosse il baluginio di quello sguardo, il lampo che d'un tratto attraversò gli occhi del ragazzo venuto dall'eternità...  quel lampo intraducibile, così simile a quello del cucciolo sorpreso fuori del branco.
Liliana si chinò e gli sfiorò la fronte.
"Ciao! Bene arrivato." sorrise.
"Non credo possa sentirti, tesoro!" disse Simone alle sue spalle.
"Lo so! -  la ragaza continuava ad accarezzargli i capelli bagnati e la fronte sorpresa ed inquieta - Lo so! Ci vorrà tanto tempo prima che che ogni cosa riprenda ordine nella sua  mente: coscienza, immagini, ricordi... semmai il suo cervello riuscirà a conservarne. Un così lungo viaggio non può averlo lasciato indenne."
"A guardarlo sembra in perfetto stato di salute." osservò Dario.
"Non sappiamo fino a che punto potrebbero essere compronmessi i suoi organi. - lo interruppe Franco -Gli scienziati avranno molto da imparare... Le ricerche effettuate fino ad ora sul processo di ibernazione..."
"Non si tratta di ibernazione. - puntualizzò Dario - Un corpo ibernato è un corpo clinicamente morto i cui organi hanno perso ogni funzionalità. Il nostro amico, invece, é ben vivo e se il cervello non ha subito lesioni, gli organi possono tornare a funzionare. Guardatelo... sembra che dorma!"
 


Il Figlio del Gelo aveva richiuso gli occhi; fuori la bufera infuriava e l'eco giungeva attutita ad accompagnare l'attesa e l'attesa non sarebbe stata breve prima che la formidabile creatura potesse svegliarsi dal lunghissimo letargo e  tornare a guardare il mondo.
"Pare così lontano... Al di là... al di fuori di ogni cosa... Che ne sarà di lui?"
Liliana continuava ad accarezzargli la fonte con gesto quasi materno.
"La Scienza... - le fece eco la voce di Dario - la Scienza ne farà una cavia."
La ragazza prese fra le sue una mano del ragazzo; la pelle era calda, adesso, fremeva. Il subbuglio di inumane emozioni doveva essere scatenante dentro di lui e lo sguardo, quando una volta ancora riaprì gli occhi, pareva smarrito in  sensazioni sconosciute.
"Non lo permetteremo! - scandì la voce di Simone, che tese le mani e le congiunse con quelle di Liliana e del ragazzo - Non lo permetteremo! Vero, ragazzi?"
"Potete scommetterci!" esclamò Franco.
"No! Certamente no, ma non potrà restare qui. - replicò Dario - Terminata la tempesta, verranno a prenderli per portarli chissà dove."
"Non chissà dove. -  precisò il professore - Ho già parlato con il Centro Ricerche di Firenze. E' lì che saranno portati. - sollevò il capo dal cane a cui stava facendo un lieve massaggio cardiaco - E vorrei suggerire alla dottoressa di venire con noi. Il ragazzo pare tranquillizzarsi  in sua presenza."
"Il mio lavoro qui è quasi consluso. - assentì Liliana - Chiederò di farmi sostituire."

                                                              ****************

Nelle ore che seguirono la tensione parve allentarsi; flebo per sostenere i due viaggiatori del tempo e massaggi agli arti per facilitare loro la circolazione. Tutti intorno alle due preziose creature, tutti accanto a loro, ad assisterli notte e giorno e per diversi giorni, per essere testimoni oculari di un evento unico e straordinario: il rivivere della materia umana più nobile.
"La musica." suggerì Liliana.
E la musica, ottimo coadiuvante nella cura di casi di lesioni al cervello, la musica di Vivaldi, la "Primavera",  in sul finire del quarto giorno entrò nella stanza: note vivaci e briose. e
Rapidi lampi vennero a baluginare negli occhi del Figlio del Gelo.

Ombre e luci, suoni e voci, disordinati  istinti ed offuscate immagini,  brandelli in fuga di scomposte visioni e sogni contorti, furono il primo irrompere nel suo cervello della consapevolezza del ritorno alla vita.  Poi, un'espressione d'angoscia. Chiara, infine, la sua voce:
"Tasin..."
Alzò un braccio, come a voler scacciare fantasmi dalla mente e tornò muovere lo sguardo  d'intorno.
"Tasin..." ripeté e  una volta ancora tornò a chiudere gli occhi.
Gli era più facile  ad  occhi chiusi  dare ordine e disciplina alle voci che ronzavano dietro la fronte come in un nido di calabroni;  i suoni, infine, si  placarono  e ombre   assunsero contorni   sbiaditi  e non ben definiti;  suoni e immagini arrivavano da ogni parte.
Passò molto tempo, scandito dal ritmo del suo stesso respiro, prima di convincersi d'essersi svegliato da un lungo sonno e ritrovato in un posto strano e nuovo in cui, però, non avvertiva minacce. Capì subito di che posto si trattava.
"I verdi pascoli del cielo!" fu il primo pensiero che la mente riuscì a comporre.
Ma ancora fischi dietro la fronte ed ancora suoni ed immagini contorte, ancora rigidità alle braccia ed alle gambe... stanchezza... eppure aveva riposato... Finalmente un'immagine... l'unica ad essere chiara sopra le altre: il dolce volto di Tasin, colei che lo aveva generato.
Anche ad occhi chiusi poteva vedere benissimo quel volto.
Le nuvole, però, oscuravano ancora la sua mente popolata di scene: corna di cervi in lotta... fiamme sulla foresta... l'abbaiare di Pelo Rosso ... e un volto dolce come quello di Tasin che lo stava guardando e gli sorrideva... Sì!  Non aveva alcun dubbio! Aveva proprio raggiunto i Verdi-Pascoli-del-cielo, sospesi ad un metro dal suolo sopra le bionde messi di grano ed avena, che attendono gli uomini pii e meritevoli per le eterne beatitudini.
Girò il capo in direzione di quel volto dal sorriso così simile a Tasin, immerso nelle ombre sopra di lui:
"Gug..."  disse.
Liliana, china su di lui, girò il capo in direzione di Franco alle sue spalle.
"Lo avete sentito?... Ha detto qualcosa..." esclamò con voce rotta.
"Gug... - rispose Franco - Ha detto gug... Non so che coglia voglia dire, ma di certo ha chiesto qualcosa."
Cercarono nel baluginio di quegli occhi antichi il significato di quella parola dal suono perduto.
"Paradiso... forse." scherzò Dario e Franco:
"Non è escluso! - replicò - Avrà sete?" domandò.
"Fame... sete... Cosa si può fare? Che cosa si può dargli? Carne, pane, acqua..." replicò Dario.
"Gug... - ripeté il Figlio del Gelo cercando di sollevare un braccio che, però, ricadde subito di fianco, ma non gli impedì di replicare il gesto e il braccio, questa volta,  restò più a lungo  sospeso in aria prima di cadere di nuovo, poi, ancora la voce,   con l'accento di chi pare stupirsi di non esere capito -Gug !"
Questa volta, però,  mentre lo sguardo correva dall'uno all'altro  dei volti protesi,  il ragazzo accompagnò le parole con l'eloquente gesto del palmo della mano tesa verso la bocca.
Chiedeva di bere!  Il Figlio del Gelo aveva sete e chiedeva di bere!
Il primo gesto!  Il primo segno di comunicazione! E la cosa straordinaria era che arrivava da lui e non il  contrario.
Fu portato un bicchiere e Simone, reggendogli il capo, l'accostò alla bocca.
Lessero una certa perplessità nel suo sguardo mentre scrutava il bicchiere e il suo contenuto, ma poi gli videro aprire le labbra e trangugisre d'un fiato.
"Gug." lo udirono ripetere.
"Sete arretrata di qualche millennio!" scherzò Dario.
"Diamogli un succo di fruttta." propose Franco, uscendo  per ricomparire subito dopo  con una bottiglietta di succo di albicocca che versò nel bicchiere e che Simone nuovamente accostò   alle labbra del ragazzo.
Il Figlio del Gelo, però,  guardò il bicchiere con espressione dubbiosa.
"Non pare molto convinto!" disse Franco in tono scherzoso.
"Ah.ah.ah... - rise Dario -  Mica scemo! Vedrà un bicchiere per la prima volta, ma in fatto di genuinità è un campione! Si starà chiedendo che cosa diavolo sia quell'acqua colorata."
"Si fida poco delle apparenze, il nostro amico! - ancora Dario - Non si fida neppure delle creature del  Paradiso, a quanto pare. ah.ah..." rise.
"Tu saresti una creatura del paradidso? Ah.ah.ah... Capisco perché nessuno voglia partire per l'altro mondo! " Franco si unì alla risata e dette una pacca sulla spalla dell'amico; Liliana intanto faceva al ragazzo il gesto di bere e questi bevve e l'aria di compiacimento che gli comparve sul bel volto testimoniò l'apprezzamenteo di quel prodotto della civiltà moderna su un ragazzo della civiltà antica.
"Ehi!..." la voce del professore attirò l'attenzione verso di lui e il cane.
Anche quella del Figlio del Gelo, che parve finalmente accorgersi dell'animale che, a sua volta, richiamato da quello sguardo, emise un debolissimo guaito.

Un lampo passò negli occhi del ragazzo antico; emozioni intraducibili vennero a navigare per lunghi attimi nei suoi occhi. Tentò di alzarsi, ma i gomiti rifiutarono di reggere il peso del  suo corpo.
Il professore, però, era già chino sul cane per raccoglierlo sulle braccia e, nel silenzio profondo e commosso sceso su tutti, andò a deporlo accanto all'antico padrone.
L'animale guaiva debolmete e scondinzolava felice: aveva riconosciuto il padrone, che gli stava parlando in quella sua lingua dai suoni gutturali, così remota, persa nella notte dei tempi.
Il capo poggiato su quello dell'amico, il corpo scosso da un fremito, il Figlio del Gelo  piangeva   e il cane piangeva con lui, lo sguardo nocciola e quasi umano. Poi i guaiti si fecero flebili;  sempre più flebili e il ragazzo rimase a piangere da solo un lamento antico.
Il suo volto di fanciullo senza tempo parve quasi vecchio quando il dolore vi stampò la sua stigma.

Capitolo IV -

 Capitolo IV - TAUR

 

La morte del cane parve ricondurre il ragazzo antico su sentieri perduti; l'immobile fissità dello sguardo era l'unico indizio del suo dolore.
Seduto dietro i vetri della finestra, ancora non del tutto restituito al presente, guardava lo scenario polare e la gelata monotonia del suo bianco silenzio, bersaglio di immagini che gli si sovrapponevano dietro la fronte leggermente corrugata. Erano frammenti di ricordi avvolti in nebulose, scene confuse, uscite dalla notte dei tempi,  scomposte ed annebbiate, ma che venivano a consolarlo...  grida, richiami, sussurri: il rumore di un'ascia nella foresta, il battere della pietra sopra la macina, il crepitio delle fiamme, l'ululato del lupo, il belaro  dell'agnello e la voce.... la voce di Tasin, colei che lo aveva generato.
La porta che si apriva per lasciare entrare Dario con un vassoio di frutta fresca e la voce di Liliana che chiedeva da dove arrivasse quella frutta lo strapparono ai suoi pensieri.
Dario si fece da parte per lasciare entrare Simone, alle sue spalle; fuori la tempesta di neve era cessata, ma l'aria era freddissima;  la neve fresca, appena ghiacciata, non lasciava  orme e il fiato gelando si mutava in nebbia.
"E' atterrato un elicottero al Settore B. - disse Simone, poi aggiunse, indicando il ragazzo . Sono qui per lui."
"Ci siamo!" fu il solo commento della dottoressa che, preso il vassoio dalle mani di Dario, lo porse al Figlio-del-Gelo.
Il ragazzo si alzò. 
Dario fece l'atto di aiutarlo, ma, sia pur con garbo, quello lo scostò e,  ritto in piedi, si mostrò in tutt la prestanza fisica.  Era alto almeno un metro e settantacinque, il fisico era armoniosamente modellato: braccia robuste, spalle forti e potenti muscoli che guizzavano sotto la pelle abbronzata.
Sembrava una di quelle statue antiche che su barche scendevano lungo i fiumi diretta ai Templi.
Imprevedibilmente, a questo punto,  nel silenzio sceso improvviso,  il ragazzo prese una mela dal vassoio e la porse a Liliana.
"Soc." disse nel suo linguaggio perduto, indicando le altre mele.
Sbalordirono tutti: era il primo tentativo di comunicazione e l'aspetto straordinario era che l'iniziativa veniva proprio dal ragazzo.
"Soc. - gli fece eco Liliana - Me-la."
"Dam." il ragazzo indicò una pera.
"Dam. - ripeté la dottoressa - Pe-ra." sillabò.
"Dam... Pe... Per-rra" ancora il ragazzo e Liliana, portandosi una mano al petto:
"Li-lia-na!" sillabò.
"Li... LI-lli-lliana! - fece eco il ragazzo poi anche lui si portò una mano al petto - Taur... Taur!" disse.

Il  dialogo era aperto, tra il figlio  del neolitico e i  figli del computer e le rivelazioni ebbero inizio. L'approccio avvenne con uno specchio.
Superata l'iniziale perplessità, il ragazzo cercò sul retro colui che lo guardava ed ammiccava, infine, un lampo gli attraversò lo sguardo:
"Taur..." esclamò trionfante, riconoscendo il proprio volto incontrato riflesso chissà quante volte nelle acque di qualche torrente.
Lo specchio accolse anche l'immagine di Franco alle sue spalle che,  indicando entrambi i volti riflessi, esclamò:
"Taur e Franco."
"Taur... Frrr-Fran...cco"
Un lungo respiro, le braccia levate al cielo, così il ragazzo salutò quell'attimo di libertà all'aria aperta, poi si lasciò catturare dallo stupore per tutto  quanto lo circondava; gli occhi si spostavano incuriositi: un vaso, una sdraio, un pezzo di rete metllica, un ombrellone, l'altalena, lo scivolo. Ogni cosa lo attirava.
"Albero... casa...terra... sdraio...sasso..."
Liliana elencava e Taur ripeteva.
Vicino ad un vaso di fiori il ragazzo colse un bocciolo e lo tese alla giovane.
"Dor..." disse.
"Fiore...  -   rispose Liliana, commossa fino alle lacrime  -  Albero... cancello... erba..." riprese.
Avevano raggiunto il cancello e Taur tese le mani verso le sbarre; lo sguardo vagò nella brughiera ciottolosa, dimora di eriche, su cui una miriade di colori danzavano alla luce del sole.
Una nube di malinconia appannò di colpo lo sguardo del ragazzo antico, ma un galoppo ritmato e gagliardo e la sagoma di un cavallo che correva siul prato, il manto lucido e nero,  la bella testa eretta e la criniera al vento, attirarono la sua attenzione.
"Cavallo." disse Liliana, indicandolo da lontano.
"Kigo." proruppe il ragazzo con eccitazione poi  si cacciò due dita in bocca ed emise un verso che lacerò l'aria.
Fu come se qualcosa tornasse indietro dall'alba dei tempi e "remote" ombre riemergessero dal profondo tunnel dell'età perduta.
Il fischio aveva raggiunto l'animale, che interruppe l'impeto della corsa e tese l'orecchio.
Un secondo fischio; questa volta il cavallo rispose con un nitrito poi riprese la corsa, fece un largo giro a semicerchio e puntò deciso verso il cancello. Qui a meno di mezzo metro si fermò; lo zoccolo batteva sul terreno ritmato ed irrequieto. Pareva titubante.
Forse così, si disse Liliana guardandolo, così aveva fatto il suo antico progenitore... forse così era nata l'antica alleanza tra l'uomo e il cavallo. E non doveva essere stato facile, pensò, adattarsi alla volontà dell'uno e disciplinare l'esuberanza dell'altro.

Taur tese un braccio oltre l'inferriata e si sporse fino a sfiorare con le dita la criniera. 
Il cavallo si lasciò accarezzare e lo guardò  con quei suoi grandi occhi nocciola buoni ed intelligenti.
Taur  afferrò un ciuffo della criniera e  lo trascinò avanti di un passo o due,  fino a fargli toccare il cancello col muso, poi emise un suono chiaro e melodioso. Un po' gutturale. Imcomprensibile per Liliana, ma che l'animale sembrò gradire.
Gli parlava nel suo linguaggio antico, mentre la malinconia gli scivolava addosso come l'ombra sulle case e l'inquietudine gli turbava la mente.
E il dubbio. Il dubbio  che quello non fosse il Mondo-al-di-là, come invece aveva creduto riaprendo gli occhi.  Era certo, però, di aver ripreso equilibrio sulle proprie emozioni così come faceva Thor, il grande cacciatore del Popolo-delle-Colline, che era il suo popolo, quando conduceva all'obbedienza i cavalli delle mandrie selvagge. 
Emozionato ed inquieto, così era il suo spirito, ma anche pronto ad affrontare altre prove; ne aveva affrontate già tante da quando era partito: prove dolorose da frecce, da schegge, da zanne, da pugnale, ma era deciso e pronto ad affrontarne di nuove... anche se...  anche se era tutto così imprevedibile presso il Popolo-delle-grandi-Dore... il popolo di Liliana e dei suoi nuovi amici.
"Troppe cose nuove per Taur! - pensava, mentre la mano scivolava leggera sul manto lucido del collo dell'animale - E poche spiegazioni!... E quando una cosa non si può spiegare, dice sempre la buona Tasin, non è cosa di questo mondo... La buona Tasin!..."
Il pensiero di sua madre gli inumidì le ciglia.


 

Questa nuova vita, andava ripetendosi,  era troppo diversa per essere proprio una vita... una vita normale! Perfino un po' monotona, ma inspiegabile!  Monotona, sì! Senza gli scontri con il Popolo-delle-Montagne,  che erano i nemici del Popolo-delle-Colline, senza i cervi, diventati sempre meno numerosi  e senza i lupi, pronti a contendere la preda.
Astar il Camminatore aveva ragione, pensò. Aveva ragione quando suggeriva di spingersi più lontano per cercare nuove mandrie di cervi ed evitare scontri con il Popolo-delle-Montagne.
Questo nuovo popolo, il Popolo-delle-grandi-Case, non combatteva, non cacciava, non si bagnava nelle acque dei fiumi...   Com'erano fresche e limpide quelle acque e che gioia lasciarsi lambire i piedi e accarezzare la pelle.   Adesso il "bagno", come lo chiamava l'amica liliana, pulirsi il corpo dalla sporcizia, assomigliava molto ad una Cerimonia Sacra, ma... doveva riconoscerlo... quel pezzetto che chiamava "sapone",  dal profumo di pino, non era affatto spiacevole.
Ma che MOndo era mai questo? Era difficile capirlo. Forse era il Mondo-delle-Ombre?  Aveva raggiunto il Mondo-delle-Ombre? E quale era stato il giudizio del Grande Dominatore?
Se, invece, era ancora nel  Mondo-della-Luce, dov'erano gli amici?
Per quale arcano si era addormentato nel bianco villaggio dl Popolo-delle-Nevi, dove era giunto insieme ad Azar, Rasor, Sirad ed al grande Thor, il cacciatore più forte ed astuto di tutti i popoli conosciuti ed incontrati e si era svegliato... ma dove si era svegliato? Si era svegliato, forse, nel mondo di cui parlava Astor il Camminaore?

Astor il Camminatore, il vecchio saggio del villaggio, aveva viaggiato molto e conosciuto molti popoli. Per ascoltare i suoi racconti e chiedere i suoi consigli in molti arrivavano al  villaggio delle colline e anche da tanto più lontano.
Astar parlava di popoli che vivevano in terre assai lontane, che viaggiavno sull'acqua su grandi barche, che scolpivano nella roccia immagini di Divinità sconosciute. Parlava che avevano ricevuto doni preziosi dalle loro Divinità: vesti morbide, armi solide e resistenti, case costruite con qualcosa che Astor chiamava "mattone" e luoghi di adorazione così straordinari che era difficile credergli e che lui chiamava Templi e Piramidi.
Gli piaceva ascoltare quei racconti, ma la buona Tasin scuoteva il capo e si adirava quando lui parlava di voler partire; Tasin correva a sacrificare alla Madre Terra una ciocca di capelli oppure deponeva sulla Mensa Sacrificale del villaggio il suo bracciale più bello, affinché  la Dea facesse rinsavire  quel figlio dissennato e sognatore.
Tasin diceva che bisognava supplicare a lungo la Grande Dea poiché da quando era diventata la sposa del Grande Dominatore si mostrava piuttosto distratta.
Tasin era molto devolta alla Grande Madre; tutte le donne lo erano, preferendo la protezione della Dea a quella del Dominatore, che era il Padre del Cielo ed anche il Padre di Divinità turbolenti e capricciosi come il Dio-Tuono o il Dio-Fuoco.
Tasin ripeteva sempre che il Grande Dominatore aveva preso con la forza il potere sulla Grande Madre, ma che questa, avendo generato il Dio Uragano, che portava la pioggia e con la pioggia la fecondità, era ancora onorata dagli uomini.
Tasin parlava spesso dei tempi lontani, quando donne, uomini e divinità vivevano in pace sotto la protezione della Grande Dea. Diceva che era stata Lei ad insegnare alle donne del Popolo-delle-Colline a coltivare la terra, prendere i suoi frutti, indicare le terre dove i pascoli erano abbondanti.
A quel tempo la Dea era assai generosa con il Popolo-delle Colline e faceva conoscere la sua volontà per bocca della "figlia della Madre" e tutti ascoltavano la sua voce. Poi, un giorno arrivò il Grande Dominatore, Dio potente di potenti stranieri... ma lì, presso il Popolo-delle-Grandi-Case, il Dominatore pareva non essere neppure conosciuto.

Era confuso. Taur era confuso.  Astor il Camminatore avrebbe potuto spieargli l'arcano, ma Astor non c'era.
Astor conosceva tante cose ed aveva una risposta a tutto.
Astor parlava della Terra-dei-verdi-pascoli, che si raggiungeva durante il riposo notturno e che, spiegava,  era il mezzo concesso dal Dominatore ai defunti per incontrare i vivi. Ma nemmeno così era il mondo del Popolo-delle-grandi Case: nessuno, durante il sonno, gli aveva mai portato simili visioni.
Una cosa, però, gli era chiara e cioè che il Popolo-delle-grandi-Case aveva le stesse esigenze  del Popolo-delle-Colline: aveva bisogno di riposo notturno per ritemprarsi, di cibo per nutrirsi, di acqua per dissetarsi e di vesti per coprirsi.
Era vero, però, che il loro pane era bianco e tenero, che le vesti erano morbide e calde.  E le case? Davvero diverse dalla "dora" in cui era nato  lui,  adatta a riparare dai rigori della stagione fredda e dall'arsura della stagione calda.
Liliana gli aveva parlato  anche  della "città"... un posto dove c'erano tante case e poi tante e tante ancora, tutte vicine le une alle altre.  In verità, anche le "dore" del Popolo-delle Colline erano le une vicino alle altre e tutte insieme formavano le "seket"... villaggi, li chiamava l'amica Liliana.
Nel suo villaggio sulle colline c'erano anche depositi per il grano, recinti per il bestiame, pozzi per l'acqua e c'era una grande "dora" dove si adunavano gli anziani.
Al suo villaggio c'era anche un piazzale dove la gente di tutti  i   villaggi vicini si incontravano per scambiarsi notizie ma anche prodotti della terra, bestiame e cacciagione.
C'erano anche grandi buche oltre la palizzata che racchiudeva le "dore"; Thor le aveva trasformate in trappole per animali.  Si continuava, ricordò con un sorriso, ad allargare quella palizzata  poiché si costruivano sempre nuove "dore" di paglia... l'ultima era stata  innalzata per sua sorella Sitar che andava sposa al guerriero Stir.
Da quando lui  era partito con gli altri in cerca di pascoli nuovi e terre più generose, aveva incontrato tanti villaggi diversi e curiosi, con case strane e curiose. Come quelle del Popolo delle Acque, costruite sull'acqua o del Popolo delle Foreste, costruite sugli alberi o anche  quelle del Popolo delle Nevi, costruite col ghiaccio. Nessuna, però,  assomigliava a quelle del Popolo delle grandi Case così... ancora non sapeva dire come!

                                                            ********************************


Le settimane e i giorni si inseguirono e Taur si lasciava sorprendere spesso in piedi dietro i vetri della finestra a guardare di fuori, muto e prigioniero di antiche paure.
Liliana era sempre con lui e  talvolta scendevano in giardino e quando un aereo  passava alto nel cielo, il ragazzo sollevava il capo e inquieti bagliori infiammavano i suoi occhi.
Un giorno, mentre un aereo s'allontanava rombando sulle loro teste, Taur lo indicò all'amica.
"Cap. - disse - Ucc...celllo." e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa con sui colpirlo; non c'erano  sassi, solo piante e fiori.
"Ucccce...lllo!" insisté, mentre pensava che se avesse   avuto arco e frecce avrebbe potuto offrire  alla sua amica una magnifica preda e intanto, naso puntato contro il cielo, si chiedeva che razza di uccello fosse mai quello. E che brutto verso. Brutto e stridulo.
Poi lo sguardo puntò verso un'aiuola ed i mattoni che la proteggevano gli parvero buoni proiettili. Di corsa si avvicinò all'aiuola, ne staccò un mattone e lo lanciò in aria.
Il grosso proiettile, con sua grande sorpresa, però, non raggiunse il bersaglio, che  intanto   s'era allontanato dalla portata del suo tiro;  l'espressione contrariata del suo bel volto era così comica che Liliana non riuscì a trattenere un sorriso.
"Quello non era un uccello, Taur. - disse - Quello era un aereo. A-e-r-e-o!"
"A-e-r-e-o?... Ucce...lllo! - Taur scosse il capo; conosceva ormai tutti i significati legati alla mimica: avanti, indietro, sopra, sotto, sì, no e altro ancora - No!" disse deciso.

Nella Sala delle Riunioni, qualche giorno dopo, Taur era pronto a sbalordire u luminari della Scienza  e della Medicina e costringerli a guardare con maggior rispetto all'uomo della preistoria.
IL professor Mauro gli aveva messo in mano un foglio e dei pennarelli. Taur cominciò a disegnare, cancellare, disegnare e cancellare ancora: intorno a lui volti sorridentis sguardi compiaciuti.
La sua mano si muoveva svelta e sicura e dal pennarello uscivano figure svelte ed aggraziate, apparentemente senza significato. Quasi un gioco. Così  come fanno i bambini quando si dà loro in mano  carta e matita. Ma poi, una strana figura triagolare nei cui vertici di congiunzione c'era disegnata una croce, una specie  di uncino o forse una svastica, con all'interno tre linee che partivano dal centro e si disperdevano a spirale verso i vertici, cominciò a prender forma.
"Questo è un disegno preciso. - osservò  Liliana   che come glia ltri seguiva con profondo stupore l'evolversi di quella misteriosa figura - Che cosa é questo disegno?"
"Non lo so. - rispose Simone, alle sue spalle - Si direbbe un simbolo, ma è assurdo pensare ad un simbolo in un'epoca in cui non esisteva ancora la scrittura."
Fecero passare il foglio di mano in mano.
"A me pare proprio un simbolo. - disse uno di loro - Il simbolo di qualche antica divinità. Non c'é dubbio! Nell'antichità gli Dei venivano raffigurati attraverso simboli... Il cerchio irradiato - spiegò - simboleggiava Zoroastro... Il triangolo era per la Trinità o la Trimurti, ma questo..."
"Non è possibile che sia qualcosa..." gli risposero, ma la voce di Simone convogliò ogni attenione verso il ragazzo.
"Guardate!... Venite a vedere che cosa sta disegnando adesso."
Guardarono e stupirono: Taur stava disegnnado cervi.
"Guardate la sicurezza con cui tiene il pennarello." osservò Liliana,
"Questo ragazzo è un artista!"
"Un artista! Sì!.. Uno di quei pittori preistorici rupestri o uno di quelli che nelle caverne di Spagna e Francia diedero vita a quelle meravigliose raffigurazioni di scene di caccia. E' stupefacente pensare che questo prodigioso ragazzo possa esere uno di loro"
"A sud del Pacifico, in certe isole non ancora contaminate dalla civiltà moderna - interloquì una voce - forse è ancora possibile imbattersi... "
"No! - Simone non lo lasciò finire - Neppure da confrontre l'arretratezza di pensiero di quegli isolani con lo spirito  di inventiva e l'aperta inelligenza degli uomini della preistoria."
"Sono d'accordo con lei, Simone. - interloquì il professor Mauro - All'artista preistorico appartengono opere molto significative dal tratto tratto sicuro... Mai, nel disegnare una corsa, si è espressa l'essenzialità di quelle pitture... né la morte é apparsa con la "vitalità" espressa dall'uomo di Cro-Magnon... Guardate questo disegno. Ah,ah,ah... - rise, indicando il disegno
che Taur stava raffigurando con straordinaria e fine comicità - Non manca davvero di humour, questo ragazzo."
Taur stava disegnando cervi che cacciavano uomini, ma già cambiava tema; questa volta era un uomo a cacciare il cervo.
"Taur e  sut! - esclamò -  Cerr...vvvo"  continuò ed un'ombra di malinconia  gli velò il bel volto; la mano lasciò il pennarello e la luce del neon strappò bagliori al suo sguardo e una lacrima...
Una lacrima si sarebbe detto quel lucciore... ma i guerrieri non piangono e lui era un guerriero ed un cacciatore: la Cerimonia di Iniziazione era ancora viva nei ricordi e  il petto recava ancora i segni della Prova di Coraggio.

Tutti i giovani del Popolo-delle-Colline al compimento del quindicesimo anno diventavano adulti. I rituali della cerimonia erano vietati a donne e bambini, perché pericolosi per loro e pericolosi per la tribù: se vi partecipavano, avrebbero potuto distruggere     l'equilibrio delle Natura.
"La concentrazion fulminante delle forze é  tutta nell'innocenza dei bambini e nell'indole femminile e può scatenarsi in presenza delle Forze Misteriose della Grotta Sacra e annullarle. "
ripeteva ogni volta lo Stregone.
La Sacra Grotta si  trovava nelle viscere della terra e per raggiungerla occorreva attraversare una spaccatura nella parete della montagna; l'apertura era stata occultata da rovi ed alti cespugli per impedirne l'accesso.
Era lo stregone, in quelle occasioni, ad aprire la processione; in testa portava corna di cervo e  sulle spalle esibiva pelle di lupo:  preda e predatore. Erano  entrati  in uno stretto e tortuoso budello; sassi e sporgenze ne ostacolavano l'avanzata.
Tutto era buio, là sotto. Procedendo in silenzio, l'uno dietro l'altro, si udiva l'ansimare del  cervo sulle spalle di Thor, il rumore d'acqua che si staccava dal soffitto e cadeva con un tonfo sordo e la voce dello stregone che pareva un lamento.
Invocava gli spiriti favorevoli della Sacra Grotta e li invitava a farsi avanti.
Le tenebre erano profonde, ma gli anziani  procedevano speditamente, come se conoscessero bene quel posto; gli altri, però, ma  dovevano fare attenzione a non inciampare.
Poco a poco, ricordava,  aveva acquistato sicurezza ma, proprio quando gli occhi si erano abituati a quelle tenebre e le torce in mano agli anziani s'erano accese, il cuore aveva cessato quasi di battere nel petto per lo spavento: aveva incrociato lo sguardo con quello feroce e  minaccioso di un bisonte che lo sovrastava dall'alto. Aveva dovuto deglutire più volte prima di rendersi conto che quel bisonte non era vero, ma solo dipinto sulla parete.   Molti altri ve n'erano, grandi e piccoli, in corsa oppure fermi, feriti o in piedi e poi cavalli, renne, stambecchi... tutti in fila a perdita d'occhio.
Ricordava anche che quella grotta era davvero molto grande e moltiplicava i suoni come facevano gli uccelli quando passavano nel cielo, riuniti, all'approssimarsi del freddo, per emigrare.
Era stato allora che lo stregone si era liberato della pelle di lupo ed aveva cominciato a saltellare, imitando i movimenti dell'animale predatore; infine, aveva lanciato un grido... un grido terrificante....
Tutto era così misterioso in quella Grotta; c'era un'atmosfera quasi d'attesa eccitata, come se da un momento all'altro qualche spettro sarebbe scaturito dalle tenebre.
"Dove sono gli spiriti della caccia?" aveva domandato sottovoce  un compagno, più spaventato ed emozionato di lui.
"Io non so. - gli aveva risposto - Ci penserà lo stregone a richiamarli." aveva aggiunto guandandosi intorno: lo stregone avevva asserito che gli spiriti erano lì ed egli non c'era motivo di dubitarne.
A quel punto Thor  aveva sgozzato il cervo e lo stregone ad ognuno dei nuovi guerrieri aveva segnato la fronte con il sangue dell'animale, poi con la punta di una lancia aveva inciso loro  la carne del petto per provarne la resistenza al dolore. Quella ferita , la "ferita del coraggio", tanto più visibile quanto più in profondità la lancia era riuscita a penetrare, era rimarginata solo da poco, ma sarebbe stata per sempre visibile.
Così lui, Taur, figlio del capo del Popolo-delle-Colline, era diventato Guerriero e Cacciatore.